skip to Main Content

Giorgetti

Draghi, Mattarella e la giustizia sbrindellata

Fine del settennato con qualche amarezza sulla giustizia per Sergio Mattarella. Ecco perché. I Graffi di Damato

 

Con l’inaugurazione dell’anno giudiziario in Cassazione alla sua presenza, tra ermellini, fiocchi e mascherine anti-Covid, si è davvero conclusa – e con una certa amarezza, come vedremo – la missione presidenziale di Sergio Mattarella. La cui conferma, dopo essere stata da lui stesso avversata ripetutamente, nonostante il bis sollecitato in alto e in basso, dai vertici politici con una certa discrezione o reticenza, come preferite, e dai cittadini comuni con un certo entusiasmo, fra piazze, teatri e cerimonie nello stesso Palazzo del Quirinale, è svanita davanti alla crescita della candidatura di Mario Draghi. Che solo l’irriducibile Fatto Quotidiano di Marco Travaglio attribuisce alla generosità, alle speranze e persino alle manovre dei “giornaloni”.

E’ diventato così un giornalone anche il manifesto con quel titolo di prima pagina su Draghi che “avanza”. O Il Foglio con quel titolo in rosso su “Chi ci guadagna con Draghi al Colle (tutti)”. O il debenedettiano Domani con quell’editoriale intitolato “Cosa manca per arrivare all’elezione di Draghi”, non in senso ironico o scettico ma per dire che ormai ci siamo, nonostante i ritardi, almeno mentre scrivo, nelle operazioni di autorimozione della rumorosa – ma niente di più – candidatura di Silvio Berlusconi, pago di avere occupato anche con le sue esitazioni per un bel po’ di tempo le prime pagine dei giornali. Come se lui fosse stato davvero il “protagonista” della corsa, dicono e scrivono i fedelissimi, soddisfatti pure loro di tanto presunto successo. Di cui peraltro staremo a vedere gli effetti dentro lo stesso centrodestra, dove è emersa sempre più chiaramente una certa, diffusa insofferenza verso il Cavaliere e anche il suo missionario nei palazzi della politica e delle istituzioni, già sottosegretario con lui alla Presidenza del Consiglio. Ultima e alquanto controversa è stata la visita di Gianni Letta a Palazzo Chigi prima di recarsi al penultimo vertice del centrodestra a Villa Grande, la nuova residenza romana di Berlusconi sull’Appia antica.

Scrivevo, all’inizio, dell’amarezza che ha procurato – forse anche allo stesso Mattarella – l’inaugurazione dell’anno giudiziario in Cassazione. Di cui addirittura il Riformista di Piero Sansonetti, particolarmente sensibile ai problemi della giustizia, ha lamentato con un vistoso titolo di prima pagina – “Shhh, si apre l’anno giudiziario, ma non ditelo a nessuno…” – una certa clandestinità, pur nell’abbondanza di fotografie e immagini televisive.

Con tono umile, fra citazioni di Voltaire e Leonardo Sciascia, sollevato anche dall’incubo di non poter neppure partecipare alla cerimonia dopo essere stato quasi deposto dal Consiglio di Stato e reintegrato in tutta fretta dal Consiglio Superiore della Magistratura, il presidente della Cassazione Pietro Curzio ha auspicato, promesso, garantito -come preferite- che “i giudici sapranno riparare ai loro errori”. E ciò evidentemente, o augurabilmente, sulla strada di quella “rigenerazione” reclamata più volte da Mattarella di fronte all’esplosione delle varie, poco commendevoli vicende di toghe, carriere e quant’altro.

Ma diversamente da Curzio, e dai suoi toni quasi da scuse, il Procuratore Generale della Cassazione Giovanni Salvi ha orgogliosamente rivendicato il funzionamento della vigilanza interna della magistratura, e quindi la sua affidabilità nei riguardi di un’opinione pubblica forse troppo critica o pretenziosa. Pensate un po’, su 1748 notizie di illeciti di magistrati il sistema di autocontrollo ne ha archiviate 1229. Poteva anche arrivare a 1230 per fare cifra tonda.

Back To Top