Se l’intenzione di Mario Draghi, parlando al raduno annuale di Comunione e Liberazione a Rimini, senza cravatta e occhiali d’ordinanza, era quella -come spero anche per i ruoli che ha avuto a vario livello, e ha tuttora con gli studi e altro affidatigli dalla presidente della Commissione di Bruxelles Ursula von der Leyen; se l’intenzione, dicevo, era di “strigliare”, “sferzare”, stimolare e quant’altro, come si si legge oggi nei titoli di molti giornali, l’effetto è stato opposto. Infelicemente opposto, direi.
Quella di Draghi è stata la celebrazione di un funerale preterintenzionale, diciamo così, dell’Unione europea. Di cui egli ha sostenuto con una certa, forse eccessiva, spietata durezza, che sia “evaporata la forza” che pure poteva provenirle dai quattrocento milioni e più di consumatori che popolano il suo mercato. Un’Europa evaporata, ripeto, e “immobile” di fronte alle guerre che la circondano e la coinvolgono: dall’Ucraina a Gaza. Eppure l’Ucraina, per esempio, se non è stata – o non è ancora stata – abbandonata dal presidente americano Donald Trump nelle fauci di un Putin trattato quanto meno con eccessiva indulgenza, da invaso e non invasore, lo si deve all’Europa pur “evaporata” nelle parole dell’ex presidente della Banca Centrale europea e poi anche ex presidente del Consiglio.
Diciamo che è stata per Draghi, quella trascorsa ieri a Rimini, una giornata sfortunata. Più da “funerale”, come ha titolato impietosamente qualche giornale, che da occasione ricostituente per l’Unione europea. Una giornata da dimenticare, più che ricordare.