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Giappone Abe

Cosa succederà in Giappone dopo Abe

Fatti e scenari sul Giappone dopo le dimissioni del premier Shinzo Abe nell’approfondimento di Giulio Pugliese, ricercatore IAI e docente al King's College di Londra, tratto da Affari Internazionali.

L’assenza del gobbo elettronico alla conferenza stampa convocata d’urgenza presso l’ufficio della presidenza del consiglio giapponese dava subito conferma delle voci circa le dimissioni a sorpresa di Abe Shinzō. Del resto, l’attenta gestione del profilo pubblico di Abe – ivi incluso l’impiego di agguerriti spin doctor e speechwriter – ha contribuito non poco alla sua longevità politica da record.

Superato da poco il primato come primo ministro giapponese in carica più a lungo in maniera continuata – e a un anno dalla fine naturale del mandato -, Abe non avrebbe dovuto più rincorrere ossessivamente il favore dell’opinione pubblica, anche se sarebbe rimasto nell’agone politic o come membro della Dieta nipponica.

LE RAGIONI DELLE DIMISSIONI

Abe ha letto alcune note stilate all’ultimo minuto per parlare a braccio con la nazione, ragguagliandola prima sulla lotta del Giappone al Covid-19, poi sui missili della Corea del Nord, quindi sul suo stato di salute personale, peggiorato di recente da una recrudescenza della stessa colite ulcerosa che aveva, presumibilmente, posto una brusca fine alla sua prima premiership nel 2007.

Stavolta, però, Abe è stato più avveduto con la tempistica che potrebbe essere stata più studiata di quanto sembri. Esami di routine di giugno hanno confermato sintomi importanti, curati a loro volta da nuovi e più potenti farmaci che hanno contribuito – a detta di Abe – a un progressivo defaticamento, ma non ad una remissione soddisfacente dell’infiammazione intestinale.

Così, Abe ha deciso lunedì di dimettersi dall’incarico di primo ministro poiché le forze non gli avrebbero permesso di dedicarsi al “perseguimento di risultati, la missione più importante della politica”, e “scusandosi di cuore” per ben due volte con l’elettorato del suo Partito liberal democratico (Pld) per l’incapacità di portare a compimento la sua opera politica nell’anno che gli sarebbe rimasto davanti.

LA LEGACY DEL PRIMO MINISTRO

Nel discorso è emerso appieno il penchant della presidenza Abe per le questioni di sicurezza. Abe si è riconosciuto i meriti per la ripresa del Giappone del post-Fukushima, incluso l’alto tasso di occupazione, quindi per le importanti riforme sulla sicurezza, per il rafforzamento dell’alleanza nippo-americana – il perno della politica estera giapponese – e per la difesa del libero commercio, evidenziato dall’accordo per una Comprehensive and Progressive Trans-Pacific Partnership e l’accordo di partnership economica tra Giappone e Unione europea.

Abe ha anche espresso sincero rammarico – con tanto di voce rotta e lucciconi – circa tre dossier ancora aperti: l’annosa questione dei giapponesi rapiti da agenti della Corea del Nord, il mancato accordo di pace tra Russia e Giappone con relativa soluzione sulle dispute territoriali, e la riforma del famoso articolo 9 della Costituzione (la “rinuncia alla guerra”, ndr), che non sta comunque impedendo al Giappone di perseguire una politica estera e di sicurezza da grande potenza.

La legacy principale di Abe andrebbe ritrovata proprio nella normalizzazione dello strumento militare, un’evoluzione non da poco in un Paese profondamente scosso dalla disastrosa esperienza dell’imperialismo, e tradizionalmente riluttante ad un profilo più assertivo nell’agone internazionale. Attraverso i suoi fidati consiglieri alla sicurezza nazionale, Abe ha instillato la politica estera nipponica con una buona dose di strategia, impiegando leve economiche, soft power e arsenale bellico per il perseguimento di chiari obiettivi diplomatici.

Passi falsi sono stati fatti anche con la Corea del Sud e nell’incapacità di ritrovare un’autentica stabilità con il principale rivale strategico, la Cina di Xi Jinping. Va detto, impresa non facile poiché Pechino ci mette sempre del suo. Rimane da vedere se il successore di Abe sia in grado di dimostrare la stessa destrezza e dedizione a questioni diplomatiche e di sicurezza, e se si voglia circondare di un entourage di mandarini con una vision sufficientemente a fuoco, quale è l’Indo-Pacifico libero e aperto, e se e in grado di incidere con autorevolezza sulla macchina governativa – sempre potenzialmente preda di atomismi – in maniera altrettanto olistica.

LA CACCIA AL SUCCESSORE

Il Pld dovrà designare un successore prima della riapertura del Parlamento, ma ancora non son stati chiariti i termini per la votazione interna dal segretario di partito, vicino ad Abe. Di certo, Abe si sta muovendo perché il prossimo primo ministro non smantelli la sua eredità politica – come fece l’odiato Fukuda Yasuo nel 2007-08 – e starà presumibilmente macchinando perché il vice-premier e ministro delle Finanze Asō Tarō, il segretario generale di gabinetto Suga Yoshihide o, alla peggio, l’ex ministro degli Esteri Kishida Fumio, gli succedano.

L’idea sottaciuta è di dare la possibilità ad un nome a lui vicino di prendere le redini dell’esecutivo, eseguire un rimpasto di governo che strizzi l’occhio all’opinione pubblica e, dopo poche settimane, sciogliere la Camera Bassa per indire elezioni generali. I rappresentanti della Camera Bassa, quella con più peso, devono finire il proprio mandato entro l’autunno del 2021, ma la contrazione importante dell’economia giapponese e di una potenziale seconda ondata di Covid-19 in inverno renderebbero azzardata l’attesa fino al termine naturale della legislatura.

Il riassestamento in atto delle due principali forze di opposizione, che dovrebbero riunirsi in un unico partito a settembre, costituisce un altro elemento chiave nei calcoli della dirigenza Pld. Bisogna vedere, poi, se il prossimo primo ministro duri a fronte delle numerose sfide che si profilano.

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