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Italia Potenza Militare

Perché la Difesa italiana corre un rischio Grecia. Report Iai (Istituto affari internazionali)

Che cosa si legge nelle conclusioni di uno studio dell'Istituto Affari internazionali curato Alessandro Marrone e Paola Sartori su presente e futuro della Difesa italiana ed europea

Vi sono stati importanti sviluppi recenti verso l’orizzonte di una difesa europea pragmatica, funzionale agli interessi nazionali degli stati membri nonché dell’Ue nel suo complesso. A tali sviluppi l’Italia ha contribuito in modo pro-attivo ed efficace sin dal 2016, influenzando le scelte riguardo all’impostazione di Pesco ed Edf in linea con i propri interessi di lungo periodo.

Per il nostro sistema-Paese si tratta ora di restare impegnato in un percorso che può portare importanti benefici sia per le forze armate che per l’industria italiana dell’aerospazio, sicurezza e difesa, e più in generale per la sicurezza nazionale. Le iniziative avviate stanno infatti vivendo delle importanti fasi di sviluppo, con le prime allocazioni di risorse ed il posizionamento strategico dei principali Paesi europei. Ciò rappresenta anche una sfida per l’Italia, che non può e non deve perdere l’opportunità di modernizzare, sviluppare e rendere più efficiente il proprio strumento militare tramite la cooperazione con gli altri Paesi dell’Unione nel quadro sia Pesco che Edf.

Inoltre, in quanto contributrice netta al bilancio Ue e detentrice di un’importante base industriale, l’Italia permettersi deve evitare che i fondi dell’Edf, cui ha contribuito quota parte, vadano ad esclusivo o prevalente
beneficio di altri competitor industriali europei. Per vincere questa sfida, è quindi fondamentale assicurare impegno e risorse adeguate rispetto a queste iniziative, lavorando secondo tre linee guida principali:
1. coerenza;
2. stabilità;
3. qualità.

In primo luogo, il Governo e il Parlamento dovranno impegnarsi per assicurare un livello di risorse per la difesa che sia coerente e funzionale agli obiettivi di politica estera e difesa nazionale. Ciò significa evitare tagli di bilancio che impedirebbero di accedere ai co-finanziamenti Edf ed infrangerebbero gli impegni sottoscritti dall’Italia in ambito Pesco – nonché quelli in ambito Nato, in primis l’obiettivo di aumentare le spese nella difesa al 2% del Pil entro il 2024.

In secondo luogo, altrettanto importante è assicurare la stabilità delle risorse nel tempo. Il Documento programmatico Pluriennale (Dpp) della difesa pianifica le spese militari nell’arco di un triennio, ed è molto importante che eventuali revisioni dei saldi avvengano su base annuale e in linea con il DPP, e non in maniera estemporanea e ad hoc perdendo di vista il quadro d’insieme, la priorità delle linee di spesa nonché le loro implicazioni sul piano interno ed internazionale.

Infine,oltre a coerenza e stabilità, l’efficacia di queste risorse in termini di risultati conseguiti, è strettamente collegata anche alla qualità dell’investimento. Da tempo il modello ideale di suddivisione delle spese militari dei Paesi avanzati in ambito Nato o Ue vede il 50% dedicato ai compensi per il personale, il 25% agli investimenti in equipaggiamenti e tecnologie, ed il 25% per coprire la formazione, le esercitazioni, le spese connesse all’impiego operativo delle forze (manutenzione dei mezzi, etc.).

Il bilancio della difesa italiana è purtroppo sbilanciato fortemente, e ormai da qualche anno, a favore degli stipendi del personale militare e civile del Ministero della difesa, con circa il 70% delle risorse destinate a tale voce, a scapito degli equipaggiamenti e della prontezza operativa delle forze. Il rischio concreto è di andare verso un “modello Grecia”, con forze armate non efficacemente dispiegabili in missioni di gestione delle crisi all’interno o all’esterno del territorio nazionale, e che tendono a ridursi ad un inefficiente “stipendificio” venendo così meno all’impegno di protezione dei cittadini e di salvaguardia degli interessi nazionali.

In ultima analisi, gli sviluppi recenti e i programmi dei prossimi anni per la realizzazione dell’Europa della difesa segnalano lo sforzo dei principali stati Ue di contemperare due esigenze: una più stretta cooperazione e integrazione per difendere meglio la sicurezza e gli interessi condivisi; il mantenimento di un certo grado di sovranità nazionale, sia in termini operativi – quindi con una certa autonomia nell’uso dello strumento militare – che di capacità tecnologicoindustriali per lo sviluppo degli equipaggiamenti necessari alle forze armate. Anche l’Italia dovrà perseguire un continuo e dinamico bilanciamento tra queste due esigenze, adottando un’ottica di lungo periodo che favorisca il consolidamento del sistema-Paese.

 

QUI IL TESTO INTEGRALE DELLO STUDIO

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