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Di Maio Salvini

Vi racconto che cosa divide Di Maio e Salvini

Come sono i reali rapporti fra i due vicepremier Luigi Di Maio e Matteo Salvini? I Graffi di Damato

 

I soliti maliziosi retroscenisti dicono che Matteo Salvini – al quale l’hanno raccontata mentre si provava una nuova felpa della Polizia nel suo ufficio al Viminale – abbia imprecato sapendo del colpo basso appena infertogli dal pur amico e comprimario di governo Luigi Di Maio rifiutandosi di rispondere alle domande sull’immigrazione durante la conferenza stampa indetta per vantarsi dei successi gialloverdi. E ciò nonostante il fresco, anzi gelido annuncio della recessione “tecnica” certificata dall’Istat con i dati economici anche dell’ultimo trimestre del 2018. Di cui il vice presidente grillino del Consiglio si è liberato, diciamo così, attribuendone la responsabilità ai governi precedenti, accusati di avere nascosto la realtà al Paese inducendo evidentemente la stessa Istat a diffondere dati falsi sulla ventina di trimestri antecedenti i due col segno meno toccati per disgrazia all’attuale compagine ministeriale.

Il colpo basso a Salvini da parte di Di Maio, rimasto peraltro convinto che ci aspetta lo stesso un “boom economico”, prima o poi, grazie ai soldi che riusciranno a muovere le pur tanto contestate novità del reddito di cittadinanza e dell’accesso anticipato alla pensione, sta nella motivazione del rifiuto di rispondere ai giornalisti curiosi di sentirlo parlare di immigrati e complicazioni conseguenti. Fra le quali va naturalmente annoverato il processo allo stesso Salvini per sequestro aggravato di persone, arresto illegale e abuso di ufficio che il cosiddetto tribunale dei ministri di Catania ha chiesto al Senato di autorizzare. Il che ha creato un bel po’ di problemi al movimento delle 5 stelle e allo stesso Di Maio, in particolare.

Il giovane capo dei grillini sta sudando, fuori stagione col freddo che fa, le fatidiche sette camicie per convincere i suoi senatori a votare contro la richiesta della magistratura derogando alla loro regola, abitudine, convinzione e quant’altro di non contraddire mai le toghe alle prese con i politici. Ad un’opera di persuasione in questa inversione di marcia, vista la contrarietà maturata nel ministro dell’Interno contro un processo cui si era per un po’ mostrato invece disponibile con l’aria di sfida e di sicurezza che lo distingue, se non vogliamo parlare di spavalderia, si è offerto anche il presidente del Consiglio in persona Giuseppe Conte.

Il professore, avvocato civilista e “del popolo”, sempre più attivo dopo un periodo in cui sembrava rassegnato ad un ruolo defilato, prima si è dichiarato pubblicamente corresponsabile dei reati contestati a Salvini per i migranti soccorsi ma anche bloccati nella scorsa estate per qualche giorno sul pattugliatore Diciotti della Guardia Costiera italiana, poi ha definito -giustamente- uno strafalcione giuridico quello di confondere la vicenda giudiziaria del ministro dell’Interno con una banale questione di immunità parlamentare, o di quel che ne resta, e infine ha annunciato di volere personalmente parlare al gruppo grillino del Senato quando si riunirà -si spera- per decidere come votare. Le possibilità di riuscita di questa opera di persuasione debbono essere aumentate se il giornale di Marco Travaglio ha annunciato che “cresce la fronda” fra i grillini contro il processo.

Ma veniamo, finalmente, alla motivazione del no opposto da Di Maio alle richieste dei giornalisti di parlare di immigrazione nella sua trionfalistica conferenza stampa sui successi del governo, indicati sulle pareti con cartelli da scoprire come monumenti, e su un tavolo con tanti barattoli. “L’immigrazione non è il primo problema” dell’Italia, ha detto il vice presidente grillino del Consiglio, pur sapendo quanto ci tenga invece Salvini alla missione che si è data di farla finita con “la pacchia” degli sbarchi e dell’accoglienza.

Una vignetta che, non importa se casualmente o apposta, riflette meglio di un articolo, editoriale e quant’altro il colpo basso di Di Maio al suo alleato e comprimario di governo è quella di Nico Pillinini sulla Gazzetta del Mezzogiorno. Che fa indossare a Salvini una felpa finalmente anonima, sbeffeggiato da un immigrato che se ne va via, con tanto di valigia, per via della recessione. Finisce così un’altra e forse più dannosa “pacchia”: quella del boom economico sognato e persino annunciato da Di Maio, e condiviso da Salvini nei salotti televisivi. Dove l’altra sera il vice presidente leghista del Consiglio si vantava del grandissimo successo dell’ultima asta dei titoli italiani di Stato, precedente l’annuncio ufficiale della recessione. Parlo naturalmente dei titoli di Stato a scadenza breve, perché la musica di quelli a lunga scadenza è ben altra, come si è visto anche di recente.

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