skip to Main Content

Vi spiego i veri malanni di Deutsche Bank (oltre la staffetta fra Cryan e Sewing)

Il commento di Ugo Bertone sulle ultime novità (e le ultime tribolazioni) in casa di Deutsche Bank Piace alla Borsa di Francoforte il ribaltone annunciato in Deutsche Bank. Fa le valigie John Cryan, il banchiere inglese chiamato nel 2015 ad affrontare la crisi infinita dell’istituto simbolo della finanza tedesca. Al suo posto arriva Christian Sewing,…

Piace alla Borsa di Francoforte il ribaltone annunciato in Deutsche Bank. Fa le valigie John Cryan, il banchiere inglese chiamato nel 2015 ad affrontare la crisi infinita dell’istituto simbolo della finanza tedesca.

Al suo posto arriva Christian Sewing, 47 anni, già numero due dell’istituto, fino a ieri a capo del private banking, uno dei pochi settori indenne dagli scandali che hanno complicato la vita della banca, colpita da multe record in Europa e in Usa. Un capitolo che Cryan ha cercato di chiudere accettando di pagare un indennizzo storico (7,2 miliardi di dollari) per le irregolarità commesse nella stagione degli scandali dei subprime più altri salassi legati alla manipolazione del Libor o al riciclaggio di capitali esportati illegalmente dalla Russia.

Il tentativo di ripulire l’immagine del colosso bancario non è stato però sufficiente ad impedire il quarto ribaltone ai vertici. Cryan ha così pagato l’incapacità a risolvere i tre nodi che affliggono la banca: un eccessivo costo del personale, “protetto” dalle regole del mercato del lavoro tedesco; un sistema informatico insufficiente e refrattario alle modifiche, causa i troppi centri di potere autonomi in cui è divisa l’organizzazione elefantiaca del gruppo di Berlino; la difficoltà a cedere gli asset non omogenei alla riorganizzazione del business, senza dover accusare pesanti minusvalenze. Un fallimento che si è concretizzato in 735 milioni di nuove perdite a fine 2017 e che minaccia di ripetersi in assenza di un piano strategico convincente.

Deutsche Bank, infatti, è ancora a metà del guado: proprio Sewing ha guidato la missione di assorbire la Post Bank, con l’obiettivo di recuperare all’istituto una leadership nella gestione tradizionale del credito, impresa improba vuoi per la concorrenza di casse rurali e  Landesbaken ma ancor di più dall’avanzata esplosiva dell’innovazione bancaria in Germania, uno dei Paesi guida del Fintech. E così, nonostante le batoste rimediate nella sfida ai colossi Usa dell’investment banking, Db non si sa con quanta fiducia ha deciso di insistere sui business che finora hanno deluso, come dimostra il reclutamento di John Thain già numero uno di Merrill Lynch.

In questa cornice la nomina di Sewing appare poco più di un ripiego: prima di promuovere il banchiere che ha svolto l’intera vita lavorativa in Deutsche Bank senza esperienze all’esterno, il presidente Paul Achleitner, il finanziere austriaco ex Allianz a capo del consiglio di Deutsche Bank, ha fatto più di un sondaggio presso diversi banchieri europei, tra cui Jean-Pierre Mustier di Unicredit, ricevendo solo garbati rifiuti. Il motivo? La chiave del problema sembra sia proprio lui, confermato nel 2017 per cinque anni grazie al voto determinante dello sceicco del Qatar Hamad Al Thani.

Achleitner si è rivelato, insomma, abile a compiacere il socio del Golfo e a non urtare i molti interessi costituiti all’interno della banca, senza preoccuparsi più di tanto per ora del malcontento dei fondi di investimento che si preparano a dar battaglia all’assemblea di maggio. Difficile però che il presidente, protetto dalla recente riconferma, esca dal suo bunker lasciato a Sewing l’onore/onere di fronteggiare la rabbia degli investitori di Wall Street. La governance alla tedesca non sempre s’addice alla logica dei mercato.

Back To Top