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Davvero Trump ha perso in Alaska con Putin?

Per Trump, meglio riabilitare la Russia con un grande obiettivo specifico: staccarla dall’alleanza con Cina. Pechino è il principale avversario degli Stati Uniti. L'intervento di Salvatore Sechi, ordinario di Storia contemporanea all'università di Bologna

I commenti negativi relativi all’incapacità di Donald Trump di negoziare l’avvio di un iter verso la pace nella guerra tra Russia e Ucraina sono “sold out“.

Anche nelle colonne della grande stampa si sprecano. In realtà è probabile che le cose siano andate diversamente. Trump aveva lasciato intendere che il minimo sindacale sarebbe potuto essere il cessate il fuoco, nella forma anche solo della sospensione della guerra aerea, tra Mosca e Kiev. Non si è avuto nulla di tutto ciò.è vero. Mi pare che, invece, si possa ottenere molto di più.

TRUMP E PUTIN VERSO LA DINE DEFINITIVA DELLA GUERRA?

Come mai? Trump ha condiviso l’opinione (e l’interesse) di Putin di puntare alla fine definitiva della guerra. Di qui la proposta di avviare non una soluzione circoscritta, momentanea e quindi sempre vulnerabile in quanto revocabile, ma un più corposo negoziato globale. E’ quanto probabilmente è avvenuto nelle 4 ore di colloqui tra i due capi di Stato. Trump si è trovato di fronte ad un ostacolo insuperabile: cioè la determinazione di Putin di non rinunciare a un solo centimetro del territorio ucraino finora conquistato dal suo esercito in due anni di invasione. L’operazione militare si è rivelata non un intervento speciale né una partita di giro. Più volte, infatti, Mosca è sembrata soccombere di fronte all’intenso soccorso militare fornito a Kiev dai paesi della Nato e degli Usa.

LA STANCHEZZA DI MOSCA

Il costo umano per i russi è pesantissimo. Circa un milione di uomini hanno perso la vita e si è dovuto fare ricorso al sostegno di reparti delle forze armate coreane. Dunque, l’immagine è quella di un potere a mal partito, se non declinante. Di qui la richiesta fatta da Putin a Trump di esigere il controllo dell’intero territorio ucraino, di smilitarizzare il Paese e impedire l’incorporazione di Kiev nei ranghi della Nato.

IL CAMBIO DI STRATEGIA DI TRUMP

Di fronte a questa resistenza insuperabile Trump ha dovuto rassegnarsi a spostare intera mente il colloquio, privilegiando gli interessi del proprio Paese. In fondo gli ucraini sono finiti nella morsa di uno scontro impari con una grande potenza come la Russia che è dotata su scala mondiale del più potente arsenale nucleare esistente. Putin non è uno statista interessato all’uso delle buone maniere, ma identifica la sua autodifesa e sicurezza anche nel sopruso, cioè nell’aggressione pura e semplice di un piccolo Paese confinante. Ma si tratta di un conflitto interno all’Europa e cioè di un problema dei Paesi membri.

Nel momento in cui Trump ribadiva l’impossibilità di costringere Mosca alla resa sollecitata da Zelensky e dalla Nato, ha ritenuto opportuno fare un passo avanti, cioè rovesciare interamente il rapporto con Mosca. Ha quindi giocato la carta della rilegittimazione della Russia. Il che ha comportato la liturgia dell’applauso, dell’inchino dei membri del reparto di guardia al passaggio dello zar.

TRUMP MIRA A FRAPPORSI TRA PUTIN E XI?

Il messaggio è stato quindi chiaro sin da primo momento. Trump ha voluto rompere la crisalide dell’isolamento in cui la Russia è stata confinata da qualche decennio dopo la fine della guerra fredda e la rottura dell’unità imperiale fondata sul patto di Varsavia che univa Mosca ai principali paesi dell’Europa Orientale), sancita dalla caduta del muro di Berlino. In Alaska la Russia è stata trattata, e anche investita, non più come una potenza di rango regionale ma una grande potenza pari agli Stati Uniti.

La ragione? Trump non ama l’Europa, disprezza i suoi leader. Non si fida di nessuno di essi che sono pure assai divisi. Dunque, meglio riabilitare la Russia con un grande obiettivo specifico: staccarla dall’alleanza con Cina. Pechino è il principale avversario degli Stati Uniti. Non solo sul piano tecnologico e delle innova zioni industriali, ma anche e soprattutto su un altro aspetto cruciale diventato assillante dal momento che la politica dei dazi non ha avuto finora l’esito positivo che ci si aspettava: l’enorme debito pubblico da cui sono afflitti gli Stati Uniti è garantito dal massiccio acquisto da parte degli investitori cinesi dei Treasury bonds emessi dal governo di Washington. Ecco perché, dunque, l’Ucraina non è in primo piano nei calcoli e nei disegni futuri di Donald Trump.

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