Daniela Santanchè con orgoglio, sicurezza e una buona dose di freddezza li spiazza andando subito al punto: “Io sono l’emblema di ciò che detestate. Voi non combattete la povertà ma la ricchezza”.
Il ministro del turismo, nel dibattito alla Camera sulla mozione di sfiducia nei suoi confronti, sa bene che le sue borse, il suo tacco a spillo, “centimetri 12” ricorda dettagliatamente, il suo essere “l’imprenditrice del Twiga e del Billionaire, una donna libera”, quella sua cura “per il corpo” e il suo piacere di “vestirsi bene” e la sua “collezione di borse” che “non devo “nascondere” sono considerati dalle opposizioni, dal cosiddetto campo più pauperista che largo di Pd e Cinque Stelle, una sorta di corpi del “reato” di essere Santanchè, in quanto tale. A prescindere dalla vicenda giudiziaria per la quale è stata rinviata a giudizio. E affonda il colpo contro quello che chiama un “ergastolo mediatico” nei suoi confronti ricordando l’articolo 27 della Costituzione per cui si è colpevoli solo dopo 3 gradi di giudizio.
Ma Giuseppe Conte e Elly Schlein sembrano proprio assecondare la parte nella quale Santanchè, nel suo freddo e studiato show, li mette. Il leader pentastellato si ritrova ad accusare il ministro di “reato” di “borsette contraffatte”, con chiara allusione all’intervista in cui su “La Repubblica” Francesca Pascale accusa il ministro di averle regalato prodotti taroccati. Delle “borsette” si ritrova a parlare anche Davide Faraone della cosiddetta garantista Italia Viva di Matteo Renzi. E il tocco finale lo ha la segretaria del Pd quando accusa: “Se lei parla di borsette, chi difende gli Italiani dal caro bollette?”.
Insomma, le “borsette”, mentre il ministro aveva parlato di “borse”, diventano sulla bocca delle opposizioni una sorta di parametro di condanna politica dal sapore peraltro anche maschilista e misogino nei confronti di Santanchè, da sempre circondata dalla velata accusa di sottofondo di vestirsi bene, in modo molto femminile, insomma proprio come una ricca. Ma la sinistra che, come attacca il ministro del turismo, combatte non la povertà ma la ricchezza va avanti di sfiducia in sfiducia. Dopo essere stati ampiamente e molto prevedibilmente respinti per la sfiducia a Santanchè, Pd e Cinque Stelle con tutto il resto della sinistra si preparano ad essere respinti con ampio margine pure sulla sfiducia al ministro della giustizia, Carlo Nordio per il caso Almasri.
Quanto a Santanchè, rinviata a giudizio per Visibilia, sulla vicenda dell’Inps invece afferma che se verrà rinviata a giudizio prenderà in considerazione le dimissioni, ma “lo farò da sola, sola con me stessa. Non avrò nessun tipo di pressione, forzatura, paventati ricatti”, sottolinea. E aggiunge che lo farà, o meglio lo potrebbe fare solo per “rispetto per il presidente del Consiglio” e “amore per il mio partito: Fratelli d’Italia”.
Tanto basta per far lanciare da Schlein, Conte e il resto delle opposizioni l’accusa a Santanchè di “ricattare Meloni che continua a scappare”. Tanto basta per far dire a Enrico Costa di Forza Italia che il punto è il giustizialismo: il fatto di essere “proni all’autorità giudiziaria”, cosa di cui accusa in particolare i Cinque Stelle, e di usare “le scorciatoie giudiziarie per eliminare l’avversario politico”. Prive di una vera proposta da fronte alternativo, le opposizioni ormai sembrano avere come faro guida l’uso politico della giustizia.