Sarebbe sciocco, oltre che inutile, negare la valenza del discorso pronunciato contro il premierato nella discussione generale a Palazzo Madama da Liliana Segre, superstite dell’Olocausto, 94 anni da compiere a settembre. Di cui 6 trascorsi da senatrice a vita su nomina dell’attuale presidente della Repubblica per avere “illustrato la Patria – dice l’articolo 59 della Costituzione – per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario”. Il campo, nel caso della Segre, è naturalmente quello sociale, attenendosi ai termini della Costituzione e non chiamandolo “storico”, come forse meriterebbe di più.
Gli oppositori strettamente o maggiormente politici del premierato hanno trovato una voce prestigiosa che temo non meritassero e non meritino per la disinvoltura, la spregiudicatezza, la contraddittorietà con la quale essi sono insorti contro la riforma proposta dal governo di Giorgia Meloni, dimenticando peraltro che la porta a questa soluzione fu aperta nel 1997 dalla commissione bicamerale per la riforma costituzionale presieduta da Massimo D’Alema: ripeto, Massimo D’Alema. A Palazzo Chigi c’era Romano Prodi, non Silvio Berlusconi, già rovesciato dopo nove mesi di governo dall’alleato elettorale Umberto Bossi, capo della Lega.
Fra “vari aspetti allarmanti” del premierato la senatrice Segre ha messo anche il danno che ne riceverebbe il Capo dello Stato eletto dal Parlamento e costretto a guardare dal basso in alto, in condizioni cioè di inferiorità, un capo del governo eletto direttamente dai cittadini. Beh, con tutto il rispetto che le è dovuto e che ha meritato con la sua storia personale, la senatrice Segre deve convenire che può avere contribuito a farle avvertire questo “allarme” il laticlavio ottenuto a suo tempo proprio dal presidente della Repubblica.
Non mi è inoltre sembrato personalmente felice, all’altezza del suo prestigio, e della misura che lei abitualmente mostra, neppure il richiamo della senatrice Segre alle “tribù della preistoria” che avevano anch’esse “un capo”. Mi pare francamente un po’ troppo scambiare per cavernicola la giovane premier, confermatasi decisa a portare avanti il suo programma in una intervista a Maurizio Belpietro. O la ministra delle riforme e già presidente del Senato Maria Elisabetta Casellati, per la quale – ma solo per lei – la senatrice ha voluto usare parole di riguardo, spiacendosi di dovere dissentire da lei.
Anche la senatrice a vita Elena Cattaneo, 62 anni da compiere, nominata nel 2013 dall’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, ha parlato contro il premierato. Che rischierebbe di togliere, con lo scioglimento anticipato nelle mani del presidente del Consiglio, quel poco di ossigeno che resterebbe ad un Parlamento già “malato” di suo, secondo la diagnosi della biologa e scienziata, per lo spazio sottrattogli dalla decretazione d’urgenza e altro dei governi. Ma ciò è avvenuto con il consenso del Quirinale, ignorato dalla senatrice di nomina presidenziale.