La Pasqua, come più o meno tutti sappiamo, è la festa più importante del Cristianesimo, poiché Gesù Cristo “è veramente risorto”, come dice il tradizionale augurio di questo giorno, in genere sommerso dai più generici “buona” o addirittura “serena Pasqua”, per non eccedere in ottimismo. Eppure nel nostro calendario pesa meno del Natale e persino dei ponti di 25 aprile e primo maggio, poiché le si aggiunge un solo giorno festivo.
Il senso delle festività è inevitabilmente decaduto assieme a quello religioso nel suo complesso, basti vedere quanto scarsa sia la pratica, anche nella Settimana Santa in cui si celebrano i riti fondamentali. A chi scrive è capitato di sentire un collega riferire, senza intento di dileggio ma con viva sorpresa, che una persona la domenica mattina gli avesse risposto: “Sto andando a Messa, ti richiamo dopo”.
La secolarizzazione ha diverse e ben note cause, una delle quali è senz’altro la diffusione del lavoro femminile fuori casa, negli stessi luoghi frequentati dai maschi, che ha portato le donne ad assimilarne l’indifferenza verso i valori e i doveri legati alla fede. Cosa, questa, molto più importante dello stesso ateismo o agnosticismo, pure in netta crescita. Non conta infatti tanto cosa pensiamo in astratto, ma ciò che ci induce a fare o non fare quanto crediamo vero.
Molti dei problemi che ci assillano, globali o personali, potrebbero essere ridotti a questo schema. Si pensi alla tanto dibattuta misura del “tetto” agli studenti stranieri, tesa a evitare la creazione di “ghetti” dove relegare i ragazzi provenienti da famiglie di origine non italiana, a creare un equilibrato melting pot e stravolta dai suoi critici in misura razzista. Critici i quali, c’è da scommettere, in gran parte appartengono ad ambienti sociali dove l’immigrato circola in misura molto limitata.
Chi scrive ha seguito i riti pasquali in una chiesa a fortissima presenza straniera, forse addirittura a maggioranza, scelta perché è nella celebrazione ancora si avverte un senso residuo di vita, di fede, di gioia. È un po’ il paradigma della questione. “Gli immigrati vengono a fare i lavori che non vogliamo più fare”, si diceva un tempo: credere è uno di questi, così come fare figli, le cose sono evidentissimamente legate.
Sul gelo o inverno demografico, annotiamo a margine, nella notte di Pasqua Rai Tre ha trasmesso un bellissimo film, “Piccolo corpo” di Laura Samani, che racconta in modo un po’ troppo laicizzato (in ossequio alla cancel culture viene sfocata l’immagine mariana nella chiesa) il miracolo del Santuario della Madonna di Trava, a Lauco in Friuli Venezia Giulia, dove si riteneva possibile risvegliare i bambini nati morti per un attimo, così da battezzarli e non destinarli al limbo. Oggi il battesimo rimane abbastanza praticato, probabilmente come una sorta di scaramanzia rispetto alla scommessa di Pascal, ma difficilmente seguono gli altri sacramenti (nei decenni scorsi, per lo meno, si arrivava alla Cresima).
Poiché la fede cristiana è essenzialmente certezza della Resurrezione, della vita che trionfa sulla morte, del bene che trionfa sul male, dobbiamo sperare che questa fase di confusione passi. Anche se di motivi per alimentarla ce ne sono molti, incluse alcune prese di posizione del Papa e soprattutto l’incertezza sul futuro che attende il pontificato date le condizioni di salute di Bergoglio. D’altra parte, anche guardando ai vertici delle istituzioni laiche, per esempio al Presidente Mattarella, avvertiamo talvolta un forte disorientamento. Esercitiamo la compassione anche verso di loro, non deve essere facile assumere certi ruoli di questi tempi.