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Russia Turchia

Crisi Turchia, Erdogan cerca le sponde di Russia e Iran ma gli analisti puntano il dito sugli squilibri interni

Erdogan punta il dito contro gli Stati Uniti, gli analisti sottolineano i fattori interni per comprendere la crisi turca e la Turchia cerca sponde estere. E' questo il quadro delle cose turche in termini economico-finanziari. Ma occhio anche alla geopolitica.

Erdogan punta il dito contro gli Stati Uniti, gli analisti sottolineano i fattori interni per comprendere la crisi turca e la Turchia cerca sponde estere. E’ questo il quadro delle cose turche in termini economico-finanziari. Ma occhio anche alla geopolitica.

Alla Turchia non mancano le alternative agli Usa. Dagli ostacoli alla vendita degli F-35 americani alle alleanze in Siria, da settimane Ankara ripete il suo mantra. Che sia Vladimir Putin con i missili russi S-400 da schierare accanto agli arsenali atomici della Nato, o l’Iran da cui acquistare il gas in barba alle sanzioni, Erdogan si sta aggrappando a un multiforme fronte anti-Usa per contrastare le minacce al suo potere.

L’operazione sull’asse con Mosca e Teheran oscilla dalla geopolitica alle strategie finanziarie. L’interscambio con questi Paesi, scommette il Sultano, avverrà in valuta locale, evitando così le speculazioni sulla lira turca, e si farà anche a dispetto degli ostacoli di Washington. “Chi riscalderà il mio Paese durante l’inverno?”, ha chiesto provocatorio, annunciando tra i primi di voler disattendere le sanzioni all’Iran.

E ora che anche l’Europa vacilla su Teheran, e non molla nel braccio di ferro sui dazi, gli interessi in comune con il Vecchio continente – che resta il primo partner commerciale di Ankara – sembrano crescere. D’altronde, sono proprio le banche europee le piu’ esposte in Turchia. Ed è sempre l’Ue che rischia di pagare il prezzo di scossoni improvvisi in un Paese che trattiene 3,5 milioni di rifugiati siriani in accordo con Bruxelles. Con le parole di Angela Merkel, “nessuno ha interesse a una destabilizzazione economica della Turchia”.

Se Erdogan cerca alleati per fronteggiare la crisi, gli analisti puntano il dito sui fattori interni per comprendere le ragioni della crisi turca.
Paul McNamara, direttore degli investimenti per le strategie Emerging Markets di GAM Investments, crede che la Turchia presenti una combinazione tossica di posizioni esterne deboli (bilancia delle partite correnti in negativo), debito del settore privato troppo elevato e un alto livello di finanziamenti esteri nel sistema bancario. Tutto questo è stato reso evidente da un necessario rallentamento della domanda, andando a creare un problema di qualità degli asset all’interno delle banche. Il ruolo del settore edilizio all’interno dell’economia, ad esempio, è paragonabile a quello registrato in Spagna o in Irlanda prima della crisi europea.

“Crediamo anche che la Turchia abbia esaurito le possibilità di rialzo dei tassi e sia ora messa all’angolo dagli inadeguati livelli di riserve di valuta (il Fondo Monetario Internazionale crede che la Turchia abbia il livello di riserve meno adeguato tra tutte le principali economie dei mercati emergenti). Anche la politica del Paese è problematica, il genero del presidente ricopre il ruolo di Ministro delle Finanze e vi è la percezione di una certa interferenza politica nei confronti della Banca Centrale, che dovrebbe invece essere indipendente”, sottolinea l’esperto.

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