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Polonia

Come nasce la crisi tra Polonia e Ucraina

La Polonia ha annunciato la non riapertura dei corridoi per il grano, l'Ucraina ha minacciato una denuncia al Wto e Varsavia, infine, ha ventilato il blocco agli aiuti militari a Kiev. Ecco cosa sta succedendo tra Polonia e Ucraina e perché.

Che lo scontro sul grano potesse degenerare fino a mettere l’un contro l’altro due grandi alleati come Polonia e Ucraina poteva essere previsto ed evitato. L’escalation è ormai avvenuta e toccherà agli americani, più che all’Ue, cercare di ricomporre i cocci. Di fronte all’annuncio di Varsavia di non riaprire i corridoi di solidarietà per il passaggio sul proprio territorio del grano ucraino senza garanzie che esso non transiti davvero fuori dall’Ue, Kiev ha minacciato di denunciare l’alleato-vicino (ma anche Slovacchia e Ungheria) al Wto, l’Organizzazione mondiale del commercio. Il governo polacco, irritato, ha prima convocato l’ambasciatore ucraino, poi ha lasciato trapelare l’ipotesi di blocco degli aiuti militari a Kiev. Bruxelles osserva impotente la zuffa ai suoi confini orientali ed è probabile che, in qualche remota stanza del Cremlino, qualcuno se la rida sotto i baffi.

È MANCATO IL BUONSENSO?

A questo punto ci si chiede se questa polemica a scena aperta si sarebbe potuta evitare con un po’ di buonsenso da tutte le parti. A Varsavia la campagna elettorale è entrata nel mese finale, quello decisivo, e i toni del confronto interno si fanno sempre più accesi. È inevitabile, dal momento che il Pis, i conservatori al governo, possono perdere la maggioranza assoluta, anche perché non è ancora misurabile l’impatto elettorale dello scandalo sulla concessione dei visti riesploso proprio in questi giorni, con tanto di richiesta di chiarimenti da parte del ministero dell’Interno tedesco (a guida Spd) e poi della stessa Ue.

NERVOSISMI E CALCOLI ERRATI

Il premier polacco Mateusz Morawiecki è nervoso, ma anche risentito con Kiev perché il risentimento degli agricoltori polacchi è elettoralmente pericoloso e il problema del collasso del mercato dei cereali interno era stato evidenziato da tempo. Difficile immaginare che a quattro settimane dal voto Varsavia potesse mostrarsi indifferente alle pressioni del proprio mondo agricolo, che costituisce uno dei pilastri del consenso del Pis, forte nelle aree rurali.

Ma allo stesso tempo Morawiecki non ha calcolato che forzare la mano, addirittura accennare anche solo ipoteticamente a una ripicca sugli aiuti militari, avrebbe buttato all’aria quella credibilità riconquistata dai polacchi sullo scenario internazionale che tanto margine ha restituito al suo stesso governo, comunque al centro di contrasti con Bruxelles sui temi dei diritti e della giustizia. Non era un segreto che la Polonia era arrivata al limite delle sue possibilità di aiuto militare, ma con le sue dichiarazioni Morawiecki ha vaporizzato l’immagine che Varsavia aveva costruito di sé nell’alleanza occidentale dopo lo scoppio della guerra. Bastava fermarsi un attimo prima ed evitare l’ultimo passo maldestro che fa ripartire tutto dalla casella d’inizio e getta nuove ombre sulla capacità di tenuta di un partito come il Pis.

Ma è nervoso anche Volodymyr Zelensky, che dopo mesi di tensione deve ora fronteggiare la stanchezza per la guerra dei suoi alleati. Certo, il conflitto lo combattono i soldati ucraini e lo subiscono i civili ucraini, ma le opinioni pubbliche dei paesi alleati, fondamentali per il sostegno militare ed economico a Kiev, non sono psicologicamente attrezzate per sostenere i tempi che si allungano, mentre la propaganda del Cremlino si insinua attraverso canali noti e meno noti per fiaccarne la tenacia. Eppure, spingersi fino a denunciare al Wto quello che finora è stato l’alleato più solido, o accusarlo pur senza mai nominarlo nel discorso all’Onu di falsa solidarietà e di “preparare il terreno alla Russia” non è stata una gran mossa.

GLI ERRORI DELL’UNIONE EUROPEA

La stessa Ue, la cui priorità dovrebbe ancora essere quella di assicurare che la Russia non vinca il conflitto con l’Ucraina, poteva mostrare una maggiore empatia nei confronti dei suoi membri centro-europei (e verso la Polonia in primo luogo, ma anche verso la Slovacchia, altro Paese da maneggiare con prudenza visto che si vota il 30 settembre) e continuare a mediare sui corridoi di solidarietà, cercando gli strumenti per garantire quel che è stabilito nell’accordo – cioè il transito completo dei cereali ucraini fuori dai confini Ue – invece che forzare la mano e porre da subito fine alle restrizioni sul grano. Il deterioramento delle relazioni tra Varsavia e Kiev non si sarebbe verificato se la Commissione europea non avesse concluso che “le distorsioni del mercato nei 5 Stati membri confinanti con l’Ucraina sono scomparse”. A chi è giovato?

Per dirla con le parole del Postimees, quotidiano estone e voce di un paese baltico che condivide preoccupazioni e speranze dei paesi fuoriusciti dalla galassia sovietica, “anche se alcune delle dichiarazioni di Morawiecki sono state citate erroneamente o presumibilmente dette in maniera non del tutto intenzionale, una disputa pubblica con uno dei sostenitori più attivi dell’Ucraina fino ad oggi è molto spiacevole. Né l’assemblea generale delle Nazioni Unite era il posto migliore in cui l’Ucraina potesse rimproverare un alleato. Ma in nessun caso il primo ministro polacco avrebbe dovuto fare una dichiarazione così sorprendente”.

LA DISTENSIONE TRA POLONIA E UCRAINA

Alla fine i pompieri si sono messi all’opera. Da un lato il presidente polacco Andrej Duda ha ribadito che la Polonia continuerà a fornire armi all’Ucraina in conformità con i contratti firmati, e forse ne trasferirà anche di più dalle proprie scorte quando riceverà attrezzature di fabbricazione sudcoreana e statunitense. Dall’altro il ministro dell’Agricoltura ucraino Mykola Solskyi ha detto di aver intavolato trattative con il suo omologo polacco Robert Telus alla ricerca di una soluzione allo stallo. Dichiarazioni distensive che arrivano dopo che altri Paesi “ribelli” dell’area centro-est europea avevano trovato degli accordi: prima la Romania e la Bulgaria, infine la Slovacchia che ha accettato di istituire un sistema di licenze per le importazioni di grano ucraino, consentendo la revoca del divieto. E anche con Budapest ora la strada sembra in discesa.

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