Come in ogni matrimonio fallito, ora fra i partner della (ex) coalizione di governo è il tempo delle accuse reciproche. Nel frattempo il titolare, il cancelliere Olaf Scholz, ha già chiesto all’avvocato – nella circostanza il presidente della Repubblica – di sollevare dall’incarico di ministro delle Finanze il leader del partito liberaldemocratico (Fdp) Christian Lindner, assieme al verde Robert Habeck suo vice.
Così, nel giorno in cui gli occhi di tutto il mondo sono puntati sull’esito del voto negli Stati Uniti, a Berlino finisce la breve e ingloriosa stagione del governo semaforo.
L’ennesimo colloquio chiarificatore tra Scholz e Lindner finisce con il tavolo per aria, il cancelliere si presenta davanti alle telecamere e con un tono passionale la cui mancanza spesso molti gli hanno rimproverato in questi anni di governo accusa il suo vice di aver violato la fiducia. “Lindner non ha mostrato alcuna volontà di attuare proposte per il bene della Germania”, dice Scholz, “non voglio più sottoporre il nostro paese a questo tipo di comportamento”.
La richiesta di sollevare Lindner dall’incarico ministeriale è inviata come da prassi al presidente federale Frank-Walter Steinmeier, il divorzio è sancito. Tre anni di esperimento lib-lab finiscono nella prima fredda notte di questo autunno berlinese.
Il percorso che porterà il paese alle elezioni anticipate è in qualche modo tracciato dallo stesso Scholz: voti di fiducia al Bundestag il 15 gennaio, probabile voto anticipato all’inizio della prossima primavera, forse già a marzo. Il voto ordinario era già stato fissato per il 28 settembre del prossimo anno.
Nelle settimane di sessione del Bundestag fino a Natale, il governo chiederà di calendarizzare il voto su tutte le leggi che non possono essere rimandate, tra cui quelle per la stabilizzazione delle pensioni e misure immediate per l’industria. Il segno di un cancelliere combattivo, già con l’elmetto della campagna elettorale in testa, arriva da un’altra dichiarazione, quella di apertura all’opposizione cristiano-democratica. Scholz ha infatti annunciato che cercherà rapidamente un dialogo con il capogruppo parlamentare dell’Unione (Cdu e Csu) Friedrich Merz, offrendogli l’opportunità di lavorare insieme in modo costruttivo su due o più questioni “cruciali per il nostro paese: il rapido rafforzamento della nostra economia e la nostra difesa”. L’economia non può attendere lo svolgimento di nuove elezioni. Il passaggio è interessante per due aspetti: Merz sarà il prossimo principale competitore di Scholz nella campagna elettorale di primavera, ma allo stesso tempo – almeno stando ai sondaggi del momento – anche l’unico possibile partner di governo in una riedizione della Grosse Koalition.
La crisi dell’attuale maggioranza si intreccia infatti con la sempre maggiore complessità del quadro partitico tedesco. Nella stessa giornata di ieri, in Sassonia, sono falliti i colloqui a tre fra Cdu, Spd e il partito di Sahra Wagenknecht per la formazione del governo regionale della Sassonia. Anche nei due altri Länder orientali, in cui si è votato lo scorso settembre, le trattative per i nuovi esecutivi procedono faticosamente. La stabilità politica di un tempo è ormai perduta e l’ascesa dei partiti alle estreme dello spettro politico rende la formazione di maggioranze omogenee e stabili sempre più difficile.
I risultati delle elezioni regionali di settembre hanno peraltro innescato la dinamica centrifuga che ha scompaginato il governo di Berlino. Le pesanti sconfitte dei tre partiti di maggioranza hanno frantumato quel po’ di unità rimasta e accentuato la volontà di ognuno di essi di accentuare il proprio profilo politico. Di fatto Spd, Verdi e Fdp si erano già gettati in campagna elettorale, lanciando proposte mirate alle proprie clientele elettorali e poco compatibili con il programma comune di governo firmato tre anni fa. In particolare sull’economia, nelle ultime settimane era nata una serrata competizione fra i leader stessi della coalizione. Prima Robert Habeck aveva presentato un suo programma di rilancio zeppo di incentivi pubblici alle imprese per sovvenzionarne il costoso passaggio alle produzioni a impatto minimo sull’ambiente, accentuando quindi le politiche verdi cui liberali (e in certa misura anche socialdemocratici) imputano una parte delle difficoltà dell’industria. Poi gli stessi Scholz e Lindner si sono misurati in vertici contrapposti con i rappresentanti delle imprese (le grandi il cancelliere, le piccole e medie il ministro delle Finanze) per concordare misure mirate ad affrontare la crisi. E infine Lindner ha presentato un suo programma economico che rilanciava i temi cari alle politiche liberali (lotta alla burocrazia, tagli fiscali e soprattutto tagli alle politiche sociali e allungamento dei tempi per il raggiungimento degli obiettivi climatici) che sono apparsi una vera e propria dichiarazione di guerra al proprio governo.
L’ultimo scontro fra Scholz e Lindner pare sia avvenuto sul freno al debito nell’ambito della legge di bilancio. Scholz voleva che fosse sospeso anche per sostenere le spese per le conseguenze della guerra in Ucraina, Lindner ha rifiutato. “Chiunque rifiuti una soluzione o un’offerta di compromesso in una situazione come questa si comporta in modo irresponsabile, come cancelliere federale non posso tollerarlo”, gli ha rinfacciato Scholz.
Lindner respinge le responsabilità della rottura al mittente: “Olaf Scholz da tempo non riconosce che il nostro paese ha bisogno di un nuovo risveglio economico e ha a lungo banalizzato le preoccupazioni economiche dei nostri cittadini”, ha detto. A suo avviso le controproposte del cancelliere al suo documento sono deboli: “Scholz non ha la forza per permettere alla Germania di ripartire”.
Dietro le polemiche e le reciproche accuse resta il panorama di un paese in crisi strutturale, con il principale motore industriale (l’automotive) appesantito da una transizione imposta e malgovernata, alti costi dell’energia, infrastrutture vecchie e digitalizzazione al passo e un apparato industriale novecentesco nel quale, a fronte di grandi potenzialità nel settore della ricerca, non c’è un’impresa che spicchi nei settori più innovativi. Agli anni floridi ma un po’ ingannevoli di Angela Merkel sono seguiti tre anni di velleitarismi pur al netto delle straordinarie emergenze internazionali avvenute. Nessuno dei tre partiti che hanno partecipato al governo semaforo può dirsi esente da responsabilità.