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Le farlocche crisi di governo raccontate dai giornaloni

Che cosa succede fra Meloni, Salvini e Tajani? Sarà inevitabilmente collaborazione-competizione. Ecco perché. La nota di Paola Sacchi

 

Chissà quante volte da qui alle Europee del prossimo giugno sarà quasi crisi di governo, ma di carta, secondo la narrazione dei principali giornali. Al di là dei distinguo anche forti sugli extraprofitti delle banche, che però, come ha affermato ieri sera alla Versiliana il leader di Forza Italia, Antonio Tajani, vicepremier e ministro degli Esteri, non metteranno in discussione la tenuta dell’esecutivo di Giorgia Meloni, è fisiologico che i tre partiti della maggioranza dovranno accentuare la propria identità in vista delle elezioni del giugno 2024. E questo mantenendosi parallelamente in equilibrio con l’unità di governo. Alle Europee si andrà con il proporzionale, ognuno per conto suo.

E questa non è una scoperta dell’oggi. Si è mai vista una forza politica che si attrezza per cedere voti a un’altra, seppur abbia con questa un’alleanza di ferro nel governo nazionale? Il punto è che, al di là dei problemi non indifferenti che l’esecutivo Meloni è chiamato ad affrontare, dall’economia all’immigrazione, la campagna elettorale è di fatto già iniziata. Spetta ora ai partiti della maggioranza di centrodestra o destracentro mantenere quel non facile equilibrio tra la corsa elettorale, che sarà un test dei rapporti di forza interni, e la necessaria compattezza di governo.

Sarà inevitabilmente collaborazione-competizione, il termine coniato per l’alleanza tra Psi-Dc e laici minori da Bettino Craxi per il suo governo. Craxi è stato evocato nella narrazione mediatica in questi giorni e usato fuori contesto storico in modo inappropriato o per citare in senso negativo la cosiddetta “svolta decisionista” del premier Meloni (con la scelta in solitaria) sulle banche, oppure per venire in soccorso di Matteo Renzi, paragonato di nuovo addirittura allo statista socialista. Il leader di Iv e ex premier è in difficoltà per le Europee, vista la grave crisi di coppia politica con Carlo Calenda che sta sterzando a sinistra.

È evidente che Renzi, nonostante le sue smentite ufficiali, abbia nel mirino i consensi di FI, alla sua prima grande prova elettorale senza Silvio Berlusconi. Tajani ha già però serrato i ranghi e sbarrato la strada: “Noi abbiamo bisogno di soldati, non di chi si sente generale”, ha ribadito a Il Corriere della sera l’altro ieri il segretario di FI. Obiettivo degli azzurri è allargare i consensi ai delusi di un terzo polo sbriciolato e di un Pd, come quello di Elly Schlein, sempre più radicalizzato a sinistra. Tajani ieri sera ha ribadito in modo netto il suo no a alleanze in Europa con Marine Le Pen e l’Afd tedesca, di cui ha criticato in modo tranchant (“mi fa schifo”) dichiarazioni riferite a un esponente sui disabili. Che però il senatore leghista Claudio Borghi ha sostenuto con forza sui social siano state attribuite, con una forzatura, al politico della destra tedesca, “pur di attaccare Matteo Salvini che ha fatto istituire proprio il ministero della Disabilità”. E che in Europa sta nel gruppo Identità e democrazia con Afd e Marine Le Pen. Salvini sostiene, al contrario di Tajani, l’alleanza anche con la Le Pen e Afd per mettere socialisti e Emmanuel Macron in minoranza e affermare una nuova maggioranza di centrodestra anche nella Ue con il Ppe. La Lega con una nota replica indirettamente a Tajani, commentando l’accordo in Spagna tra Psoe e Indipendentisti che ha portato all’elezione di una esponente socialista alla guida del Congresso: “Ecco cosa succede in Europa quando si mettono veti e ci si divide”

Comunque sia, Tajani (anche vicepresidente del Ppe), che ha pure strigliato l’Europa sull’immigrazione, ha sempre sottolineato che il suo no alla destra francese e tedesca perché “antieuropeiste” non riguarda affatto il leader della Lega, anche lui vicepremier e titolare del Mit. A sua volta Salvini sempre ribadisce che il governo durerà cinque anni. È molto difficile, del resto, che l’alternativa sia costituita da opposizioni unite, ad eccezione di Renzi che “balla” da solo, dalla battaglia sul salario minimo e divise su tutto il resto, a cominciare dalla politica estera. Le quasi crisi di governo saranno prevedibilmente da qui a giugno un tormentone di carta. Ma anche il centrodestra forse dovrà trovare una sorta di decalogo che faccia da cornice unitaria alla collaborazione (al governo) e competizione (alle Europee), la sfida non semplice che lo attende.

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