Matteo Salvini al Quirinale, davanti alle telecamere, dopo la consultazione del centrodestra, la parola “tutti” la scandisce due volte. Per sottolineare – dopo la richiesta principale fatta al Capo dello Stato di “prendere in esame” la possibilità di elezioni per “dare all’Italia un governo coeso e una maggioranza più solida” – quello che è un paletto imprescindibile ma anche quella che suona come un’apertura ad altre ipotesi, come un governo istituzionale.
Il paletto ferreo è nessun sostegno alla maggioranza di prima, tanto più se sostenuta da “voltagabbana” che la renderebbero “più debole”, quindi no fermo a un Conte ter. L’apertura, invece, si intravede nella parte finale dove Salvini conclude che se non verrà trovato uno sbocco “il centrodestra unitario”, la prima coalizione “che rappresenta la maggioranza del Paese”, che “governa 14 Regioni su 20”, “si riserva di valutare con il massimo rispetto ogni decisione che spetta costituzionalmente al Capo dello Stato”.
Se nella richiesta di elezioni Salvini rappresenta di più l’unica posizione sulla quale è attestata ferreamente Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, nell’ultimo passaggio il leader leghista rappresenta di più la posizione di Forza Italia, presente con il numero due Antonio Tajani. Silvio Berlusconi si era collegato dalla Provenza al vertice che ha preceduto l’arrivo al Colle.
Ma il vero passaggio sul quale il centrodestra appare attestato unitariamente in modo granitico è quello dove in sostanza si ribadisce il no alla stessa maggioranza, che “sta tenendo in ostaggio il Paese”, pur riaffermando che dall’opposizione non mancherà l’aiuto, sempre dato, ai provvedimenti per combattere l’emergenza sanitaria e economica, con i ristori e “un efficace utilizzo dei fondi del Recovery plan”.
Se al Quirinale, durante le consultazioni dopo le elezioni politiche del 2018, pur essendo già da allora il leader del primo partito della coalizione, dopo il sorpasso su FI, Salvini era apparso più con i toni di uno “speaker” a nome di tutto il centrodestra, stavolta si nota un salto di qualità nei modi dell’esposizione, a nome di tutta la delegazione unitaria composta stavolta anche dalle formazioni minori, i centristi di Maurizio Lupi, l’Udc e Cambiamo di Giovanni Toti.
Il leader leghista appare di più con un atteggiamento unitario, con toni più solenni da leader della coalizione, una leadership la sua finora rappresentata più dalla sostanza, che sono il numero principale dei consensi, che dalla forma la quale però è sempre anche sostanza.
Il boccino della crisi, con l’incarico di “esploratore” affidato da Sergio Mattarella al presidente della Camera Roberto Fico, a partire dalla verifica nei gruppi che appoggiavano la vecchia maggioranza, è tornato per ora nel campo del centrosinistra e dei Cinque Stelle dopo che il loro capo Vito Crimi ha aperto a Matteo Renzi, con il rischio di una scissione interna.
Se il centrodestra, come confidano dentro FI, probabilmente avrebbe dovuto prima insieme con la Lega scompaginare i giochi togliendoli alla ex maggioranza giallo-rossa, con la richiesta di quel “governo dei migliori” anche ieri sera riproposto da Tajani come alternativa alle elezioni, è però anche vero che ora la palla ripassa tutta nelle mani di Matteo Renzi.
Perché adesso, dopo aver mandato in crisi il Conte 2 con una indubbiamente abile mossa, dopo aver vinto il primo tempo della partita, dovrà assumersi l’onere di dimostrare agli italiani di non aver fatto perdere tempo al Paese in quelli che Salvini chiama “litigi e vanità”. “Liti, odii per poi rimettersi insieme, dopo più di un mese speso inutilmente” ribadisce a sera anche Tajani. E con lui Giorgia Meloni e il vicepresidente della Camera Fabio Rampelli, cofondatore di FdI, che aggiunge un ulteriore elemento chiedendo, a sua volta, perché quell’incarico di esplorazione non sia stato invece affidato alla presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati, Seconda Carica dello Stato.