Caro direttore,
mettiamoci l’anima in pace. L’unica copertina di Time sulla quale io e te potremmo finire è una di quelle realizzate in Photoshop come regalo di compleanno. Ed è giusto che sia così, perché non rientriamo in alcuna delle categorie che da 102 anni il settimanale mette in copertina, in foto o disegno. Proprio perché siamo fuori gara, possiamo concederci qualche riflessione spassionata sul fatto che questa settimana ci sia invece Giorgia Meloni.
In estrema sintesi: bel colpo! Approdare su Time significa finire su un milione di copie vendute in tutto il mondo, senza contare l’online. Significa entrare nelle biblioteche, che li conserveranno per secoli, ma anche nelle pagine Wikipedia che elencano le 5000 copertine prodotte dal 1923. Significa occupare una casella in uno spazio che è prevalentemente – e inevitabilmente – dedicato ai temi Usa. Trump, per dire, è a quota 46 copertine, ed è possibile che grazie al secondo mandato possa superare Nixon, leader assoluto con 55. Tenuto presente questo, è chiaro come qualunque tentativo di ridurre o circoscrivere il successo di comunicazione di Meloni si possa ascrivere alla sindrome della volpe e l’uva. Nel 2024, peraltro, Time aveva già inserito Meloni tra le cento personalità più influenti del mondo, segno che l’interesse con il quale la testata segue la situazione italiana non è né occasionale né passeggero.
Tutto ciò premesso, permettimi di condividere alcune piccole scoperte che ho fatto per rispondere a una domanda editoriale ma che, dato che «la carta non è elastica» (o, come si diceva una volta, «il piombo non è gomma») ho dovuto lasciare fuori dall’articolo. La più importante è in realtà una conferma: mettendo in primo piano la velocità, l’online ha penalizzato ricerca e verifica. Lo si capisce dai precedenti che i commentatori hanno citato o – ancor più – omesso di citare.
Cercando su Google, salta subito fuori un articolo de Il Post intitolato «Tutti gli italiani sulla copertina di Time», seguito da «Le copertine di Time dedicate agli italiani». Si tratta di pezzi del 2012, occasionati dalle copertine dedicate rispettivamente a Mario Balotelli e Mario Monti. Il primo è una galleria di 40 copertine, compresi tre Mussolini, mentre il secondo ne presenta 11, di cui tre Mussolini. Tra le prime posizioni c’è anche l’articolo odierno di Virgilio intitolato «Il Time dedica la copertina a Giorgia Meloni, quali italiani prima della premier ne hanno ottenuta una». Il pezzo elenca 16 nomi, dei quali solo Mario Draghi, Matteo Salvini e Francesco Menchise non compaiono nei due pezzi precedenti.
La realtà è un po’ più complicata. Partiamo dalle assenze. Il 14 dicembre 2011 in copertina andò Sergio Marchionne, la “Car star” (questo il titolo) che dopo aver salvato Chrysler stava facendo lo stesso con Fiat. Il Post lo sapeva, perché ne aveva scritto l’8 dicembre. Perché non includerlo nella galleria del 2012? Ma andiamo avanti – anzi, indietro. Bettino Craxi finì in copertina il 28 ottobre 1985, per la crisi Achille Lauro. È vero che non era solo, ma in un montaggio con Reagan, Mubarak e Arafat, gli altri tre protagonisti della vicenda. Ma anche Veltroni, incluso negli elenchi dei copertinati, nel 2005 era finito in copertina in un gruppo di cinque sindaci. Queste distorsioni si trascinano fino a costituire un panorama alternativo.
E che dire delle presenze multiple? Berlusconi ebbe due copertine, a dieci anni di distanza, ma si ricorda solo della del 2011, che lo attaccava come “capo dell’economia più pericolosa d’Europa”. Di quella sul ritorno in sella del 2001, invece, non si parla. Due copertine ebbe anche Berlinguer, a conferma dell’interesse che la sua politica suscitava. Quella di cui si parla sempre è del 1976, quando il timore del sorpasso del PCI portava a titolare “Red Threat” (Minaccia rossa) accanto al suo ritratto. Ma la vera novità, la copertina del 1975, dedicata al PCI in crescita, sembra non esistere sui radar. Il record assoluto spetta a Mussolini, in copertina sette volte dal 1923 al 1943. Di quelle del 1931 e 1937 non sembra però essersi accorto nessuno.
A complicare ulteriormente la ricerca è l’esistenza di diverse edizioni. Accanto a quella principale, americana, ne esistono di europee, asiatiche, latino americane e persino australiana, con copertine spesso non coincidenti. Quando parliamo di copertine, a quale edizione ci riferiamo? Il 28 gennaio 2013 Mario Draghi andò in copertina con il titolo Euro Vision ovunque, tranne in Usa, dove gli preferirono la campagna contro le armi di Joe Biden, Michael Bloomberg e Gabby Giffords.
Ci sono infine gli errori. Parliamoci chiaro: nessuno di noi va più in biblioteca a sfogliare 102 annate di Time per un commento di tre minuti o 1.400 battuti. Tutti, anche i dinosauri analogici come me, cercano in rete. Quelli bravi usano più motori e magari interrogano in più lingue, ma sempre tramite quei motori di ricerca. Ebbene, secondo Google Andreotti sarebbe andato in copertina nel 1976 (o, poche ore dopo, il 19 gennaio 1977) e Cossiga l’11 settembre 1989 “per il ruolo nella caduta del Muro e la fine della guerra fredda”. Andando a fare riscontri, di queste copertine non si trova però traccia: in tutto il 1976 non c’è tratta del Divo Giulio, il 17 gennaio 1977 c’era Murdoch e il Muro cadde nel novembre.
Vengo al punto. Con internet gli errori vivono per sempre. Poiché per i controlli ci vuole tempo, ecco che l’elenco del Post, con le sue sviste e omissioni è la base per tutti quelli successivi. Comoda, ma al tempo stesso erronea, perpetuata da tutti quelli che lavorano per differenza. In Usa, la copertina del numero attuale è dedicata ai cento creativi digitali, con foto di un Kai Cenat a me del tutto sconosciuto. Se avessi controllato prima, ne avrei tenuto conto nel commento. Mannaggia alla velocità.
Grazie per l’ospitalità.