Con un comunicato ufficiale da Tampa, in Florida, il Comando Centrale delle Forze Armate USA ha rilasciato il primo video su Gaza in cui si vedono tre miliziani di Hamas (o di altri gruppi terroristici) che sequestrano un camion pieno di aiuti umanitari. L’autista del camion viene lasciato a terra e non se ne conosce la sorte.
È il segno che hanno preso il via il monitoraggio e la sorveglianza del cessate il fuoco nella Striscia, che è uno dei sei compiti del Centro di coordinamento civile-militare (Cmcc) istituito il 17 ottobre a Kyriat, nel sud di Israele. Al centro – guidato dagli americani – partecipano per ora quattordici nazioni, Italia compresa.
La partecipazione italiana è significativa perché, insieme a Germania, Francia, Spagna, Danimarca, Grecia e Regno Unito, rappresenta una iniziale componente europea civile e militare nella cabina di regia a cui fa capo il graduale processo di smilitarizzazione e di ricostruzione della Striscia di Gaza. Alle attività del Centro partecipano anche rappresentanti delle Nazioni Unite e di alcune associazioni umanitarie.
Oltre alla funzione di monitoraggio della tregua, il Cmcc ha il compito di sovrintendere alla fornitura di aiuti umanitari e di emergenza, di fornire assistenza logistica, assicurare il coordinamento della sicurezza, sovrintendere alla ricostruzione delle infrastrutture civili, delle scuole e delle strutture sanitarie, nonché il supporto alla forza militare multinazionale di stabilizzazione (ISF) a guida egiziana che sarà in corso di definizione nelle prossime settimane.
La rapida costituzione e la prima operatività del Cmcc è senz’altro un fatto positivo perché rappresenta l’avvio di un processo di internazionalizzazione della crisi di Gaza. Il cessate il fuoco – pur con numerose violazioni – è in vigore da ventuno giorni e questo sembrava un obiettivo impossibile da raggiungere. Tuttavia, non possiamo nascondere che resta un nodo da sciogliere rispetto ai 20 punti del piano Trump.
A questo punto la domanda cruciale è la seguente: chi e con quali modalità gestirà il disarmo di Hamas? Paesi importanti come l’Arabia Saudita hanno detto chiaro e tondo che, senza il disarmo e la completa estromissione politica di Hamas, non hanno la minima intenzione di contribuire alla ricostruzione di Gaza. Per ora pochissimi Stati sembrano disponibili a svolgere questa delicatissima funzione.
Il re di Giordania è stato molto chiaro in un’intervista alla Bbc: siamo disponibili a una presenza militare di peacekeeping, ma non abbiamo alcuna intenzione di avventurarci in operazioni militari di peace enforcing.
Domani, in Turchia, si riuniranno i ministri degli Esteri dei paesi arabi e musulmani per discutere le modalità con cui partecipare alla seconda fase del piano di pace. Sarà interessante capire se troveranno un accordo su come affrontare i dilemmi sulla sorte di Hamas o se invece si manterranno le attuali divisioni che oppongono da un lato Turchia e Qatar e, dall’altro, le monarchie del Golfo.


