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Cosa vuole ottenere davvero Trump con i dazi?

L'obiettivo strategico dell'amministrazione Trump 2.0 è di riscrivere completamente l'ordine globale degli ultimi 80 anni. E, in due mesi, effettivamente l'agenda mondiale è già stata completamente riscritta. Ma quali sono i limiti e perché l'unica strategia possibile è pensare l'impensabile? L'analisi di Peter Kruger tratta dal suo profilo Facebook

 

Tariffe. Vedo tanti annaspare nel tentativo di capire le intenzioni dell’Amministrazione Trump.

Ora è il turno degli economisti (dopo che la stessa cosa è accaduta a giornalisti, scienziati, esperti di geopolitica ecc.). Confondono la tattica con la strategia.

L’obiettivo strategico dell’amministrazione Trump 2.0 (lo spiegavo tempo fa) è di riscrivere completamente l’ordine globale degli ultimi 80 anni che ha visto gli USA come potenza egemone garante, tanto sul piano militare che finanziario, dei commerci internazionali. Nota: ciò è stato vero anche durante la guerra fredda, quando anche i mercantili sovietici beneficiavano della sicurezza garantita dalla “blue water fleet” americana. Nota anche come quella capacità si sia già significativamente ridotta negli ultimi anni (e la crisi Houti nel Mar Rosso ne è la riprova più evidente).

Sbagliato o giusto che sia, in molti ambienti a Washington, si ragiona da anni sul fatto che gli USA non possano più permettersi i costi (industriali, finanziari, politici, militari) di mantenere tale posizione. Il parallelo che viene sempre descritto è quello con la fine dell’Impero Britannico, visto come un grande impero mercantile che si è auto-distrutto nel vano tentativo di preservare i propri “privilegi”.

L’obiettivo, pertanto, è di gestire rapidamente la transizione verso un nuovo ordine multipolare (di sfere di influenza) fintanto che gli USA sono ancora in una posizione dominante per poter imporre il proprio gioco in modo proattivo (e non reattivo).

Ora, io vedo molti problemi in questa strategia (ne parlo dopo), ma non sono quelli di cui si parla maggiormente nei commenti che leggo su questa vicenda delle tariffe.

Alcuni, ad esempio, sostengono che si tratti di una politica suicida poiché gli USA si stanno giocando la propria credibilità costruita in 80 anni di egemonia globale. Costoro falliscono nel capire che quella perseguita dall’Amministrazione Trump è una policy da “ponti bruciati”. Non si torna indietro. Questo è un gioco che puoi permetterti una sola volta. E, allora, tanto meglio sfruttare nella maniera più cinica tutte le leve di cui disponi attualmente (e di cui non disporrai in futuro).

Altri obiettano evidenziando come gli USA, perseguendo questa politica, si autoinfliggano danni finanziari ed economici che non portano alcun vantaggio. Costoro, invece, falliscono nel capire che, nella prospettiva di chi sostiene questa teoria declinista, gli USA sono già avviati verso la perdita della propria egemonia globale (con tutti i benefits finanziari che ne derivano). Non stiamo parlando di strategie win-win e nemmeno di gioco a somma zero. Questo è un gioco a perdere. Vince chi perde meno.

La critica qui è principalmente alla teoria del “retrenchment” che ha guidato le amministrazioni USA, fin dalla prima amministrazione Obama, incluso la Trump 1.0, che puntava su un ribilanciamento della proiezione di potere USA in chiave anti-cinese. Il ragionamento che si fa qui è che, se anche gli USA dovessero uscire vincitori nel tentativo di interrompere l’emersione della Cina come maggiore potenza globale, i costi sostenuti dagli USA sarebbero catastrofici (non meno di quanto lo furono per l’Impero Britannico per combattere due guerre mondiali durante il XX secolo). In questo senso, meglio trovare subito un accordo con la Cina (e tanti saluti a Taiwan), consolidare la propria sfera di influenza (e tanti saluti a Canada e Groenlandia) e riorientare interamente il sistema industriale e finanziario USA ad una sorta di autarchia estesa (include il boom manifatturiero messicano e le risorse canadesi/artiche).

E la tattica? Qui siamo al default trumpiano. Assicurare a tutti i costi di controllare l’agenda, che si tratti di invitare i malati covid a iniettarsi di “bleach”, assaltare un Campidoglio, o, come ieri, annunciare una raffica di tariffe fuori dalla grazia di Dio. Mai farsi chiudere nell’angolo ritrovandosi in una posizione reattiva.

Questo non è un invito a sottovalutare la retorica trumpiana. Quando Trump parla di annettere Canada e Groenlandia, va preso in maniera maledettamente seria. E anche quando annuncia tariffe (ma, al tempo stesso, sostiene di avere un ottimo rapporto con Xi Jin Ping…). La logica è semplice: se vuoi gestire a tuo favore la transizione verso un nuovo ordine mondiale, devi determinare tu l’agenda (non Mosca con le sue guerre, non Pechino con la sua diplomazia/affari e, di certo, non il mondo liberale occidentale, fino a ieri alleato degli USA, che vive nella confusione permanente).

E, in questo senso, va riconosciuto che Trump ora sta vincendo. In due mesi, l’agenda mondiale è stata completamente riscritta e stiamo tutti parlando in toni “trumpiani”. Siamo già a pieno titolo nel nuovo ordine multipolare (e guai a chi non si riallinea di corsa).

Sì, ma i mercati che crollano? L’inflazione che torna? La recessione incombente? Tutto questo caos? Anche il caos può essere parte di una strategia (non della tattica).

In una situazione di caos, l’idea è che chi è fragile perisce (l’UE è avvisata). Sopravvivono solo i più forti. E gli USA sono ancora la potenza dominate (ma non per molto). Quindi, meglio agire ora.

Ora, quali sono i limiti di questa visione. Ce ne sono molti, ma mi limiterò ad uno, a mio avviso il più importante: la sottovalutazione dell’agency di chi, nella prospettiva predativa, è destinato ad essere “preda”.

Ne abbiamo visto la riprova più evidente con la guerra in Ucraina: un popolo, già visto inesorabilmente destinato a soccombere, che finisce per sconvolgere i piani egemonici di una presunta potenza multipolare. E lo vediamo ora con l’Europa che si riarma (per chi non vive sulla luna), con Cina, Giappone e Corea del Sud che iniziano a concordare risposte comuni alle politiche sui dazi (una roba semplicemente impossible da immaginare solo qualche settimana fa).

Il problema è che le leve che l’amministrazione Trump pensa di poter usare in questa “grande transizione” potrebbero sfaldarsi molto più rapidamente di quanto sia prevedibile. E non è detto che sia un bene. Perché, da qui in poi, ci muoviamo in terreni del tutto inesplorati.

Potete stare certi: nei prossimi mesi/anni assisteremo a cose che, ancora oggi, appaiono del tutto impensabili. Per noi europei, l’unica strategia possibile è di pensare l’impensabile. E, tra tutti gli impensabili, la guerra è il primo tabù di cui dobbiamo liberarci (se non vogliamo essere veramente costretti a combatterne una).

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