Non so da dove cominciare, l’incalzare degli eventi legati all’aggressione russa all’Ucraina mi spezza il fiato.
Mi giungono foto tanto eloquenti quanto crudeli nella mattinata, in diretta da quel Paese martoriato, dove si consumano in sequenza stragi e crimini orribili. Da oltre 40 giorni viviamo di riflesso gli orrori dell’eccidio di un popolo, il deflagrare delle bombe, il sibilo dei missili, le cannonate dei carrarmati che sparano ad alzo zero sui civili e poi passano sopra i cadaveri, palazzi che bruciano, città rase al suolo, distruzione e morte. Immagini che scorrono sul mio cellulare: provo a socializzarne alcune, con stringati commenti di presentazione, qualcuno mi chiede se sono attendibili. Non mi offendo perché c’è chi dubita di me, mi vergogno per coloro che non si arrendono alle evidenze di un dramma umanitario che si consuma sotto gli occhi del mondo. Per coloro che nei salotti televisivi esprimono la propria incredulità: non bastano le foto da terra e quelle satellitari, i resoconti degli inviati dei media, le testimonianze dei sopravvissuti. Questi negazionisti che esordiscono con un “è vero, la Russia ha aggredito l’Ucraina”, ma poi cercano attenuanti e stemperano: “la Nato accerchiava i paesi dell’Est, tra i militari ucraini ci sono neonazisti, i cadaveri sono stato posizionati come nella scenografia di un film per suscitare sdegno, è tutta una messinscena”.
I distinguo sono sottili e persino stupidi, accompagnati da smorfie ed affermazioni che lasciano basiti. L’uomo sa essere crudele e spietato ma a volte la violenza simbolica delle parole, l’insinuazione che forse è consapevole menzogna, l’intuizione che questa dietrologia del falso e dello spaccare a metà torti e ragioni nasconda complicità occultate usando l’etica della ricerca della verità, ferisce quanto le armi, colpisce la disperazione dei soccombenti come una mannaia e si abbatta anche su di noi, cercando attenuanti che non ci sono e che non dovrebbero nemmeno essere pronunciate. Tutto d’un fiato riassumo, le foto davanti a me: c’è stato un attacco dei militari russi alla stazione ferroviaria ucraina di Kramatorsk, per ora si contano 50 vittime civili, erano persone che aspettavano il treno per fuggire, senza meta ma comunque altrove.
Tra di essi molti bambini: i russi hanno dedicato un missile per loro, vi si legge “per i bambini”. Qualcuno a cui invio le foto non crede, forse mi sono fatto suggestionare: poi arrivano le conferme di Enrico Mentana e di Repubblica, la stampa comincia a diffondere le immagini. Scrive Mentana: “Quella scritta in russo “per i bambini” leggibile su uno dei razzi che hanno provocato la strage… è la firma che Mosca non potrà disconoscere sotto un’azione contro civili inermi in fuga. Ma perché Putin firma un atto che non può che essere catalogato come crimine contro l’umanità?”
Sulla piazza della stazione oltre alle vittime a terra si riconoscono carrozzine di bimbi piccoli, zainetti, oggetti “abbandonati dalla vita e dimenticati dalla morte”: un orrore senza fine sta montando l’escalation della decimazione, dell’eccidio di anziani, donne e bambini. Le sequenze sull’Iphone della strage di Kramatorsk sono interrotte dalla foto di Vlad, un bambino di 6 anni ripreso mentre porta del cibo sulla tomba della mamma morta di fame a Bucha: a firmare lo scatto è il fotografo dell’Ap Rodrigo Abd, l’immagine compare sul sito del Corriere della Sera.
Mariupol e Bucha sono state il simbolo della carneficina e della mattanza dei civili: città distrutte, morti ovunque, di spari, di bombe, di fame o di sete, gente disidratata dopo aver bevuto anche l’acqua dei termosifoni, i pochi sopravvissuti chiusi nei bunker mentre fuori i carri armati compivano la mattanza. Possiamo solo immaginare il terrore di chi ha visto repentinamente la fine, di chi è stato torturato, dei bambini che hanno assistito allo stupro delle mamme e delle sorelle, i padri lontani, nelle trincee dei fronti, i vecchi annichiliti e spenti dallo sfracello umano che consuma i sacrifici e i ricordi di una vita.
Perché? Perché chi pronuncia la parola “guerra” in Russia viene arrestato e imprigionato, perché Navalny è stato condannato ad altri 9 anni di carcere “per truffa e oltraggio alla Corte”, perché la stampa e le TV continuano a sostenere che si tratta di una missione militare per denazificare l’Ucraina, perché il Patriarca Kirill benedice questa “missione” salvifica contro i pervertiti e i gay e con essa unge con il segno di croce ortodosso il comandante Azatbek Omurbekov, il macellaio di Bucha, prima che parta per la sua maledetta crociata di fede? L’ex Giudice italiano della Corte penale dell’Aia, Cuno Tarfusser, ha detto in una intervista e in TV che basterebbero gli eccidi, le torture, le distruzioni perpetrate a Mariupol e a Bucha per incriminare Putin per delitti di guerra contro l’umanità. E anche se Zelensky chiede una — per ora — impossibile “Norimberga”, non si possono rubricare le affermazioni dell’alto magistrato come ipotesi demagogiche.
Ora si aggiunge la strage di Kramatorsk, l’aggressione russa comandata da Putin ha fatto un salto verso l’incommensurabilmente orribile e atroce, l’attacco diretto alla popolazione civile, alle donne, agli anziani ai bambini. Quel razzo dedicato a loro la dice lunga sulla strategia militare di questa “missione”, la scritta in russo è inequivocabile “За детей” (ai bambini): una strategia, ma per le vittime un’invasione barbarica, un’aggressione brutale e omicida, assume sempre di più le sembianze di una catastrofe umanitaria, di un olocausto, dell’annientamento di un popolo e di una Nazione.
Nessuno può leggere i disegni nella mente di Putin: il fatto che sia isolato e a sua volta prenda le distanze dai suoi più stretti collaboratori, se non per confidare il minimo necessario rende tutto imprevedibile e ci mette di fronte al rischio del peggio. Probabilmente il conflitto durerà a lungo, ci sono ferite profonde non rimarginabili, per un popolo la bandiera, la terra, le tradizioni, il senso di esser parte di comunità sono ragioni ineludibili per resistere ad oltranza. Lo avevamo fatto anche noi nella lotta di Liberazione.
Lo ricordino gli amici e i compagni dell’Anpi. Mio padre era partigiano, ora saprebbe da che parte stare.
Le sanzioni colpiscono al cuore l’economia della Russia ma si riverberano come un boomerang contro l’Occidente, l’Onu appare paralizzato e impotente, l’America in crisi di identità e lontana, la minaccia di ricorrere alle armi nucleari rallenta e frena gli aiuti.
È un periodo di crisi apicale a livello mondiale, altri attori attendono di muovere le proprie pedine sullo scacchiere geopolitico e geoeconomico. Si ipotizzano scenari imperscrutabili.
Ma per chi sta qui, finora al sicuro, dove — come mi disse in una intervista del maggio 2020 l’intellettuale Pietrangelo Buttafuoco — “non ce la siamo mai passata così bene”, corre l’obbligo e il dovere morale di una riflessione sui destini dell’uomo, sui corsi e ricorsi della storia, sulla precarietà del presente.
Il senso di impotenza che sembra pervadere l’Occidente fino ad ammalarlo di sindrome suicidiaria, fino a ridurlo – secondo Federico Rampini — ad un malato terminale, dovrebbe indurci a più di una riflessione: la debolezza meditabonda sui ‘ma’ e sui ‘se’ della guerra in Ucraina non è una buona premessa per renderci consapevoli su tutti gli scenari possibili che preludono ai destini dell’Europa. Oggi Ursula Von Der Leyen è a Bucha: in questa guerra le donne – dalle madri del popolo a quelle impegnate in politica — ci stanno dando una lezione di coraggio.
Francesco Provinciali