Oggi, 15 maggio, ricorre l’anniversario della Nakba, catastrofe, il ricordo dell’esodo della popolazione araba dai territori del nascente Stato d’Israele.
Al momento della spartizione delle terre della Palestina Mandataria nel 1947, allora sotto controllo inglese, i rappresentanti arabi guidati dalla Lega Araba e dal leader palestinese Amin al-Hussein, rifiutarono la proposta, che invece venne accettata dalla controparte ebraica. Proposta contenuta nella nota risoluzione 181 dell’Onu, approvata il 29 novembre 1947.
Il 12 aprile 1948 il Consiglio Nazionale Ebraico, JNC, formò un governo provvisorio, che portò al 14 maggio alla proclamazione formale dell’indipendenza, un giorno prima che gli inglesi lasciassero la Palestina.
Esattamente il giorno dopo, il 15 maggio Israele venne attaccato simultaneamente dalle forze armate dell’Egitto, della Transgiordania, dell’Iraq, della Siria, del Libano e dell’Arabia Saudita. Le prime vittorie da parte dello Stato ebraico gettarono nel panico la popolazione araba presente nelle aeree interessate, convinta di una facile vittoria e circa 250 mila arabi palestinesi fuggirono verso gli stati arabi vicini, mentre circa 450 mila si rifugiarono in quella parte di territorio che sarebbe diventata poi Gaza, destinata a finire sotto controllo egiziano e Cisgiordania, sotto controllo giordano.
In base ai risultati raggiunti con gli accordi di armistizio del febbraio 1949, che posero fine alla guerra, Israele espanse i suoi confini oltre quanto proposto negli accordi di spartizione dell’Onu, il 78% del territorio della Palestina Mandataria a fronte del 55% concesso in precedenza.
Quest’anno la giornata del ricordo assume dei connotati un po’ particolari, soprattutto alla luce delle proteste che stanno infiammando le piazze al grido di “Palestina libera” e delle richieste di fermare il “genocidio” che secondo alcuni starebbe avvenendo a Gaza da parte israeliana. Tutto ciò causato dalla guerra, che sempre per “qualcuno” non sarebbe legittimata dagli attentati avvenuti il 7 ottobre per mano di Hamas, nato con la prima Intifada nel 1987 come braccio armato dei Fratelli Musulmani, e che ha visto l’uccisione di oltre 1000 cittadini israeliani innocenti.
Un po’ come dire che a causare l’esodo nel lontano 1948 fu Israele e non la mancata accettazione di spartizione da parte araba.
In risposta alla continuazione della guerra, oggi nelle università italiane, riprendendo ciò che sta accadendo alla Columbia, si è pensato di ricordare la Nakba con delle acampade per la Palestina. Nelle università di Bologna, Pisa, Trento, Venezia e Torino sono spuntati degli accampamenti di studenti, inneggianti a una presunta Intifada studentesca e alla fine di ogni collaborazione con le università israeliane e degli accordi con le aziende che fanno parte della filiera bellica, vedi alla voce Leonardo.
La prima università a rispondere all’appello è stata Bologna all’Alma Mater, seguita da La Sapienza di Roma, poi è stata la volta della Federico II di Napoli. L’elenco prosegue con Palermo, Cosenza, Padova, Pisa, Trento, Siena, Venezia, Torino e Milano.
Però a questo punto una domanda sorge spontanea. Se davvero Israele avesse voluto attuare un genocidio nei confronti della popolazione palestinese alcuni conti non mi tornano.
Premetto che i dati a cui mi riferisco sono del 2022, dati dell’Istituto Statistico Centrale Palestinese (PCBS) ma resta comunque il loro valore esemplificativo. La popolazione palestinese nella Cisgiordania, nella Striscia di Gaza e in Israele rappresenta il 50% della popolazione, in Giordania, Siria, Arabia Saudita, Libano, Emirati Arabi Uniti, Egitto, Kuwait, Libia, Qatar e Iraq il 44%. Dunque una percentuale più alta è presente nei territori della Palestina Mandataria, quella da cui sarebbe partito l’esodo rispetto a quella presente negli Stati arabi circostanti. Ciò vuol dire 2,1 milioni di palestinesi presenti a Gaza, 3 milioni in Cisgiordania, 350 mila a Gerusalemme e infine 1,8 milioni in Israele.
Ora analizziamo un altro esodo, mi riferisco a quello dei 580 mila ebrei in fuga dagli Stati arabi dopo la dichiarazione di indipendenza del 14 maggio 1948 e non più ritornati, dal momento che la presenza ebraica in questi Stati è irrisorio se non nullo.
E allora mi domando, a quando una protesta universitaria per chiedere il diritto degli ebrei di ritornare nelle loro terre di origine e di riprendere possesso di tutti i loro beni?
A quando una protesta per solidarizzare contro il “genocidio” che Hamas voleva compiere il 7 ottobre?
Non era forse il suo un desiderio di annientamento?
A quando una protesta universitaria per protestare contro la votazione tenutasi qualche giorno fa presso l’Assemblea generale per un riconoscimento della Palestina senza l’assenso israeliano? Eppure in quello che appare un lontanissimo 1947 il consenso richiesto fu bilaterale, oggetto di una libera scelta e non di un’imposizione, che oggi invece può essere letta come un premio al terrorismo.