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siria

Cosa serve in Medioriente dopo la caduta di Assad

Per trovare una soluzione al conflitto aperto nel sud della Palestina non basta lo slogan propagandistico di “due popoli, due stati”. L'analisi di Lodovico Festa

La caduta di Bashar al Assad determina un radicale cambiamento di scenario. Però un nuovo equilibrio in Medio Oriente richiede, per riprendere i processi avviati con i Patti di Abramo -tra Israele e Riyad- e con la proposta di corridoio India-Mediorente-Mediterraneo, una stabilizzazione politica dopo quella militare.

Per capire le chance di questa stabilizzazione, va ricostruita la logica delle vicende che segnano l’anno scorso: la situazione generale – nonostante l’aggressione russa all’Ucraina – offriva qualche speranza di distensione.

L’Iran, preoccupato dalle sanzioni economiche, avviava con l’amministrazione Biden (abitualmente imprudente) rapporti positivi e insieme, con la mediazione cinese, ricostruiva canali diplomatici con i sauditi, sospendendo il conflitto in Yemen.

Procedevano i “Patti di Abramo”, con gli Hezbollah tenuti a freno da Teheran e il Qatar che si occupava di corrompere Hamas per non intralciare i processi in corso.

Poi il 9 settembre 2023 viene firmato, a Nuova Delhi durante il G20, un Memorandum d’intesa per costruire il citato IMEC tra i governi di India, Emirati, Arabia Saudita, Francia, Germania, Italia e Unione europea. Teheran, Pechino e Mosca non si possono permettere il cambiamento di scenario che l’Imec produce.

Dunque viene sciolto il guinzaglio all’ala militare di Hamas e sono consumati i massacri del 7 ottobre.

La previsione di sicari e mandanti è che la reazione di Gerusalemme bloccherà i Patti di Abramo, un ulteriore attacco degli Houthi nel Mar Rosso intralcerà il decollo dell’Imec, gli americani saranno paralizzati dalle prossime presidenziali, Benjamin Netanyahu sarà frenato dai problemi interni, l’internazionale antisemitica con la sua influenza sull’Onu e in tanti ambienti di nichilismo occidentale paralizzerà Tshal, Israele s’impantanerà senza dare uno sbocco alla inevitabile punizione degli assassini guidati da Yahya Sinwar.

Ma se Adolf Hitler non si aspettava la reazione di una personalità come Winston Churchill, anche per Teheran e Hamas le cose non sono andate come previsto. Ora si tratta di concludere l’opera.

Per trovare una soluzione al conflitto aperto nel sud della Palestina non basta lo slogan propagandistico di “due popoli, due stati” pur comprensibile per la diplomazia europea che vuol aver solidi rapporti con le nazioni amiche del mondo arabo.

Come nel 1945 in Germania la prima questione fu la denazificazione di una nazione che aveva scatenato la Seconda guerra mondiale e organizzato l’Olocausto, così a Gaza il problema prioritario sarà come sradicare un terrorismo così disumano come quello del 7 ottobre.

Si tratta di togliere ogni arma ai terroristi, di vietare ogni propaganda di distruzione dello stato ebraico, di assicurarsi che nel futuro crimini come quelli avvenuti non saranno ripetibili.

Poi quanti e quali stati salteranno fuori, sarà valutato secondo gli esiti del processo stesso. Dopo la Seconda guerra mondiale per una piena denazificazione si diede persino vita a un popolo e due Germanie.

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