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Viaggio Biden Golfo

Cosa significa per l’Italia il viaggio di Biden in Israele e nel Golfo?

La trasferta nel Golfo di Biden è decisiva. Per l’Italia la carne al fuoco è tanta. L'analisi di Francesco Galietti, esperto di scenari strategici e fondatore di Policy Sonar

 

Alla fine il tanto atteso viaggio di Joe Biden nel Golfo è stato confermato. Avrà luogo a metà del prossimo mese, dopo un ping-pong a dire poco estenuante di mezze conferme e timide smentite. Il viaggio si preannuncia piuttosto articolato, e prevede anche un summit virtuale con gli altri dirigenti del cosiddetto gruppo I2-U2, ossia Israele, India ed Emirati arabi oltre agli Stati Uniti.

Una importante parte dell’agenda di incontri sarà per esempio assorbita da delicati aspetti di tipo militare. È trapelata in particolare l’ipotesi di inglobare sauditi ed emiratini nell’ombrello anti-missile americano. Questi scenari formano oggetto di discussioni molto intense con i partner israeliani, tra i più esperti in quell’area quando si tratta di sgombrare i cieli da missili iraniani.

Il ruolo di Gerusalemme è inoltre enfatizzato dalla tappa che Biden farà proprio in Israele prima di procedere alla volta del Golfo. Biden vedrà i vertici politici e il deep State israeliano. C’è da scommettere che, se il bilaterale USA-Israele sarà un successo, parte del merito andrà al lavoro preparatorio di Draghi, Mitsotakis ed Erdogan. Si tratta dei principali leader mediterranei e NATO, il cui flusso di telefonate, incontri e contatti con Israele, ma anche di viaggi oltreoceano, è particolarmente intenso negli ultimi tempi.

Il convitato di pietra sarà, manco a dirlo, l’Iran. Sia gli israeliani che i sauditi e gli emiratini finora avevano guardato in tralice Biden, sospettato di voler rimettere in campo le politiche di distensione con Teheran che avevano contraddistinto la lunga stagione di Barack Obama alla Casa Bianca. A questo sospetto si era aggiunta la freddezza verso il Crown Prince saudita da parte di Joe Biden, poco incline a lasciar correre sul pugno di ferro saudita contro gli oppositori sauditi. La scelta di serrare i ranghi con Israele, e di tendere una (grossa) mano ai partner del Golfo, segnala una svolta: Washington non intende guastare i rapporti privilegiati con il Golfo, che ormai tra alti e bassi hanno circa mezzo secolo di età. A maggior ragione, l’ipotesi non è sul tavolo ora che i partner eurasiatici, tra cui proprio l’Iran, hanno deciso di schierarsi a fianco della Russia di Putin all’indomani dell’invasione dell’Ucraina.

Interessante, inoltre, appare la scelta di inserire un summit con l’India nella cornice di questo viaggio. Washington ha preso nota (con dispiacere) della decisione indiana di non aderire alle sanzioni occidentali contro Mosca, e il portavoce della Duma pochi giorni fa ha lanciato l’idea di un G8 ‘alternativo’ che vedrebbe India, Iran e Brasile tra i membri. Si tratta con ogni evidenza di una provocazione, che tuttavia prende perfidamente le mosse dalla riluttanza di New Dehli di assecondare stabilmente il blocco occidentale.

Ad ogni buon conto, gli USA non danno affatto per compromesso il rapporto con New Dehli. L’India, infatti, è membro stabile della piattaforma indo-pacifica, e sono molto affiatati nell’opera di contenimento della Cina insieme ai propri partner (USA, Australia e Giappone).

C’è dell’altro: è sempre più fitta la trama di rapporti che lega Golfo, Emirati in testa, e l’India. Lo ha spiegato molto bene Michael Tanchum nel suo suggestivo studio India’s Arab-Mediterranean Corridor: A Paradigm Shift in Strategic Connectivity to Europe, che descrive il potenziale strategico del corridoio indo-arabo-mediterraneo. Al suo centro vi è la catena del valore manifatturiera nella produzione e lavorazione degli alimenti.

Gli emiratini usano l’India come ‘orto fuori porta’, finanziando la creazione di infrastrutture dedicate nel subcontinente indiano e mettendo in campo i formidabili terminalisti di DP World. A ciò si aggiunge la catena integrata degli idrocarburi attraverso investimenti multimiliardari nella produzione petrolchimica. Le tecnologie innovative, comprese quelle relative alla generazione, allo stoccaggio e all’uso dell’energia prodotta da fonti rinnovabili, sono i settori più promettenti per la futura integrazione della catena del valore nel corridoio arabo-mediterraneo India-Europa.

L’Italia ha le carte in regola per integrarsi al meglio sia nella catena alimentare che in quella petrolchimica. Sul piano storico, poi, si tratterebbe di un ritorno agli schemi che governarono i traffici delle spezie tra la Serenissima e l’Oriente fino al 1498, più precisamente, quando la scoperta della Carreira da India – la Rotta per l’India del portoghese Vasco da Gama. Non resta che chiedersi quanti, nella ristretta cerchia che ragiona sulla nostra diplomazia energetica, accetteranno questa alternativa strategica.

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