Tra i febbricitanti deliri propagandistici prodotti dalla destra americana, quelli che riguardano Taylor Swift hanno un fascino particolare. La uber-popstar che passa le giornate a battere record e a spostare punti di PIL è la catalizzatrice di tutto ciò che si può catalizzare nell’universo culturale globalizzato (cioè americanizzato): sogni, passioni, paranoie.
Politicamente, milita nell’ambito della sinistra liberal-democratica meno problematica, e lo fa con gradi di coinvolgimento e attivismo che si sono intensificati strategicamente nel tempo. Da oppositrice implicita e quasi silenziosa di Donald Trump nelle elezioni del 2016 è diventata un punto di riferimento per il popolo di Joe Biden, leader attempato e pertanto bisognoso di iniezioni di adrenalina. Si è pentita della sua iniziale prudenza nello schierarsi e ha capito che fra i suoi compiti c’è anche quello di indicare dal palco il lato giusto della storia.
I suoi avversari hanno osservato la crescente influenza politica e hanno concluso che doveva essere fin dall’inizio una psyop, una sottile operazione di manipolazione psicologica orchestrata dalle solite forze che muovono le cose. Il corpus di teorie del complotto su Taylor Swift è così effervescente e cangiante che ogni storia iperbolica viene rimpiazzata da una più fantasiosa prima ancora di diventare un meme.
Jesse Watters, un commentatore di Fox News, ha detto che Swift è «una copertura per un’azione politica segreta» (politico.com) e ha tentato di dimostrarlo al suo pubblico mandando in onda lo stralcio accuratamente selezionato di una conferenza del 2019 organizzata da un centro sulla sicurezza cibernetica della NATO. Nel passaggio, un relatore cita en passant Taylor Swift come esempio di influencer particolarmente potente. Nella mente inquinata dei complottisti di destra, un ritaglio di pochi secondi ha dimostrato un’articolata certezza: Taylor Swift è stata creata dal Pentagono. I tecnici della difesa americana l’hanno selezionata tra migliaia di altre artiste, hanno curato la sua immagine, hanno scritto le sue canzoni, congegnato la sua fama, poi hanno ingegnerizzato i contenuti che produce, hanno messo sul mercato i suoi prodotti, hanno riprogrammato gli algoritmi per farla penetrare meglio nei social e quindi nei cervelli, e quando è diventata finalmente una presenza totalizzante nella vita culturale mondiale le hanno detto di indicare alle masse adoranti per quale partito votare.
È tutto delirante, certo, ma è un delirio così diffuso che il Pentagono ha dovuto fare una smentita ufficiale. Lo ha fatto con una nota piena di richiami alle canzoni di Swift, per sdrammatizzare un po’, e ha colto l’occasione per invitare il Congresso ad approvare la richiesta di fondi supplementari per la difesa.
La relazione tra Taylor Swift e il giocatore di football Travis Kelce, ufficializzata fra baci ed effusioni allo stadio proprio mentre i suoi Kansas City Chiefs approdavano al Super Bowl, ha portato la fantasia cospiratoria verso nuove galassie. I generatori di complotti virali dell’universo MAGA (Make America Great Again) si sono subito attivati per produrre nuove teorie e collegare capziosamente vecchi puntini.
Che Kelce avesse fatto da testimonial per il vaccino di Pfizer contro il Covid-19 appariva come uno degli evidenti segni che la coppia era stata concepita in qualche laboratorio dell’élite globalista per indirizzare pensieri e sentimenti dell’universo intero. «Penso a quando Taylor Swift ha denunciato la famiglia Soros nel 2019 per avere acquistato i diritti della sua musica e poi se n’è uscita come una ultraliberal nel 2020» ha scritto Jack Posobiec su X, prolifico propalatore di suggestioni nella bolla della destra trumpiana, collegando la nuova icona polemica a un grande classico della letteratura paranoica. La teoria non era nuova.
Circolava da quando un fondo della famiglia Soros aveva partecipato all’acquisto dei diritti sui primi sei album di Swift per 330 milioni di dollari, causando un leggendario scontro fra titani dell’industria dell’intrattenimento. La conclusione che ne avevano tratto gli abitanti del sottobosco reazionario era più o meno questa: Taylor Swift ha risolto la sua disputa con la famiglia Soros accettando di usare la sua immensa influenza online per convogliare i voti della Generazione Z sul Partito democratico.
L’accoppiamento strategico con un testimonial di vaccini che si era perfino inginocchiato durante l’inno nazionale in segno di protesta contro le violenze a sfondo razziale della polizia era il coronamento dell’operazione di propaganda. L’influencer Benny Johnson ha diffuso video palesemente falsi in cui decine di commentatori televisivi ripetono su tutte le reti che Taylor Swift e Travis Kelce non sono parte di una psyop, come se recitassero tutti lo stesso copione. Vivek Ramaswamy, già candidato presidenziale convertito al trumpismo, ha completato il ragionamento, sempre su X: «Mi chiedo chi vincerà il Super Bowl il mese prossimo. E mi domando se questo autunno ci sarà un endorsement presidenziale da parte di una coppia creata ad arte».
Il grande complotto Swift-Kelce si è diffuso istantaneamente nel sistema circolatorio della destra. E quando i Chiefs hanno vinto il Super Bowl, i seguaci del complotto hanno sentito che un sigillo dell’apocalisse veniva aperto. […] Lo strano caso politico-cospirazionista di Taylor Swift ha anche un livello di lettura più profondo, che ha a che fare con il fenomeno dello «sciame» generato dagli idoli attraverso la rete.
I complottisti delirano quando dicono che Swift controlla i destini del mondo grazie a un patto con le forze del male, ma non è falso dire che nessun artista nella storia umana a trentaquattro anni ha mai avuto tanto potere in termini di denaro, riconoscimento, influenza, capacità di indirizzare consumi, opinioni, gusti, abitudini, mode. […] Swift è diventata la dominatrice assoluta della costruzione della fandom digitale, quella base di sostenitori che non si limita ad apprezzare i prodotti di un’artista ma aderisce con fedeltà assoluta alla sua personalità pubblica e a tutto ciò che questa rappresenta, in un entusiastico moto di identificazione che non di rado mostra tratti ossessivi.
Ci sono il Beyhive dei fan di Beyoncé, i Directioners che adorano gli One Direction, i più attempati Deadheads che idolatrano i Grateful Dead, i Beliebers che seguendo Justin Bieber si sono fatti pionieri del genere. La sterminata base globale dei BTS è l’unica paragonabile a quella della cantante americana, e non stupisce che la massiccia opera di evangelizzazione di discepoli del K-pop si sia manifestata nella Corea del Sud delle megachurch e di Squid Game. Gli Swifties sono però andati oltre.
Il termine «Swiftie» si è conteso la palma di parola dell’anno dell’Oxford English Dictionary nel 2023, ma la definizione è decisamente riduttiva: «Un fan entusiasta della cantante Taylor Swift». Gli Swifties sono un’orda mossa da un fervore parareligioso, sono invasati altospendenti che ai concerti si scambiano i braccialetti dell’amicizia perché così è scritto in un verso di una canzone, sono abitanti di un metaverso creato da Swift con un elaboratissimo sistema di rimandi, significati nascosti, giochi di ruolo. L’artista ha trascinato i suoi seguaci in un mondo di «codici di colori, numerologia, ricerca di parole, complicati indizi e Easter egg» («The Washington Post», October 20, 2022), ha detto soddisfatta la stessa Swift, ricordando che a quindici anni ha iniziato a inserire parole nascoste nei testi delle canzoni (si ricavavano collegando in un certo ordine le lettere maiuscole) e da allora non ha più smesso.
Tutti si sentono di condividere un comune destino perché possiedono i codici segreti che permettono di vivere consapevolmente nel mondo Swift. Così ha alimentato nella sua fandom una mentalità da caccia al tesoro in cui ogni testo è un messaggio da decifrare e ogni cosa banale ne nasconde in realtà un’altra più intelligente e profonda. È un club di filologi che ammette solo chi è in pari con gli esami. Tutto questo incoraggiamento a leggere fra le righe ha generato anche letture che non le sono piaciute. Ad esempio quelli che insistono che Swift è in realtà omosessuale, e su questo assunto ricavato da una controlettura mistica di indizi più o meno immaginari hanno creato il mito di «Gaylor», eroina arcobaleno che per qualche incomprensibile ragione non potrebbe rivelare le sue reali inclinazioni sessuali.
C’è un evidente potenziale di odio e violenza in tutta questa vicenda. L’interpretazione creativa e capricciosa dei dati di realtà, unita al rapporto di devozione verso l’idolo, può indurre i seguaci ad aggredire gli avversari. È successo con vari ex fidanzati di Taylor Swift, diventati bersaglio di campagne aggressive dei fan, condite da shitstorm piene di minacce, indirettamente incitate anche dalla stessa Swift, che ha l’abitudine di scrivere testi che sono un «master dell’aggressione passiva» (lo ha scritto «Paris Review») contro chi le ha fatto del male. La cantante non cita mai direttamente le persone e si sdegna se qualcuno osa insinuare che, ad esempio, la devastante Dear John è stata scritta per John Mayer, odiatissimo ex con cui ha avuto una relazione quando aveva diciannove anni.
Gli Swifties non solo non sono nati ieri, sono anche allenatissimi nel trovare i messaggi subliminali. E sono pronti a diventare baccanti in cerca di qualche Orfeo da fare a pezzi. È successo perfino alla ex fidanzata di Travis Kelce, che ha espresso soltanto parole di ammirazione per Swift, ma per i suoi gelosi pretoriani è comunque una minaccia, una presenza sgradita.
In sintesi, lo sciame ha due caratteristiche fondamentali: legge la realtà secondo un codice segreto; giura totale fedeltà al suo idolo. In questo, Trump e Swift si assomigliano. L’universo MAGA vive e prolifera attraverso la fabbricazione di complotti che continuamente si uniscono formando un’unica, gigantesca rete in cui le minacce si richiamano, amplificandosi. Solo Trump può evitare che tutto vada in rovina. Gli Swifties navigano in un universo di riferimenti e indizi emotivi sparsi digitalmente su tutte le piattaforme dalla grande sacerdotessa. Devono coglierli e unirli secondo la sequenza corretta per far avverare una qualche profezia, per accedere a una nuova dimensione della conoscenza.