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Milei

Cosa combina Milei in Argentina

Il presidente dell'Argentina, Javier Milei, può contare un tasso di approvazione del 46 per cento. Merito del suo carisma o del suo piano per l'economia? L'articolo di Livio Zanotti, autore de Ildiavolononmuoremai.

Il presidente Milei sembra guadagnare popolarità dalle sue stesse contraddizioni (un recente sondaggio gli attribuisce il 46% di approvazione, quasi 4 punti in più in 4 mesi). I diversi tentativi di spiegarlo alimentano un dibattito ch’egli evita. Ha un marketing-service h24, ad aggiornamento continuo, e se ne serve abilmente. Anche gli insulti ai giornalisti oltre che pesanti sono ininterrotti, a prescindere dal colore politico: uno tra i più noti l’ha querelato per diffamazione e altri stanno per seguirlo. Il presidente ne ha per tutti, ma direttamente non risponde a nessuno. Il suo stesso partito – La Libertà Avanza (LLA) -, è spaccato dalle intrusioni della sorella Karina, 51, ch’egli chiama deferentemente el Jefe e ha nominato segretaria generale della Camera, aggiungendole rango (e retribuzione) di ministro. Tra grida e mani levate, il suo capogruppo alla Camera dei deputati, Oscar Zago, 61, se n’è andato a fare un altro gruppo per conto proprio; mentre la deputata Marcela Pagano, 40, cacciata dalla presidenza di una commissione è finita in clinica per il trauma riportato nella vicenda.

Complessivamente, la sostanza non va meglio della forma. Il tracollo del potere d’acquisto dei redditi fissi tra il primo gennaio e il 31 marzo di quest’anno è stato del 34,1%, peggio che con il default del 2001. I primi 4 mesi del nuovo governo hanno aggiunto altri 3 milioni e 200mila persone al totale dei poveri (vengono ritenuti tali quanti non possono acquistare l’indispensabile per alimentarsi: i prezzi al dettaglio di prodotti-base come latte, pane, carne, legumi, sono aumentati mediamente dell’86%. Una catastrofe visibile a occhio nudo camminando per le strade). Costituiscono oggi il 51,8 dei 47 milioni di argentini. Il Fondo Monetario (FMI) pronostica al 150% l’indice d’inflazione a fine 2024, la recessione al 2,8 e la disoccupazione (quella ufficiale, che non tiene conto dell’estesissimo lavoro nero) all’8%. Solo l’anno prossimo l’inflazione scenderebbe al 45%, la ripresa sarebbe del 5% e la disoccupazione si ridurrebbe di mezzo punto dall’attuale. Quindi il previsto miglioramento dell’economia non inciderà significativamente sull’occupazione.

Né i diseredati sono le uniche vittime. Svalutazione e inflazione stanno cambiando anche la vita della classe media agiata, costretta a ricorrere ai risparmi in valuta per far fronte ai rincari finora superiori al 200% di tutti i servizi, dall’energia ai trasporti, alle spese condominiali. Da sempre in penuria di capitale, medie e piccole imprese sono tutte in grave sofferenza. La sanità pubblica cade a pezzi e quella privata è sempre meno accessibile, il sistema scolastico d’ogni ordine e grado a rischio di continui scioperi. Nelle università i docenti anziani si sono quasi ovunque autoridotti le remunerazioni in favore dei colleghi più giovani che guadagnano meno, ciò nonostante le maggiori hanno preannunciato la chiusura anticipata dell’anno accademico per l’esaurimento dei fondi. Il governo che contestava loro i bilanci preventivi ora ammette di prevedere un ulteriore stanziamento di emergenza. Ritenuto però del tutto insufficiente dai rettori, che accusano il governo di voler usare la crisi per “violare la autonomia accademica” contestandone la capacità amministrativa. È un ulteriore motivo di agitazione e di scontro.

Nessuno sa con quale grado di consapevolezza profonda, tuttavia nel reiterato progetto di distruzione dello stato, ciò che Milei destruttura fin da subito è il proprio discorso. Ed è già un’operazione politica. Interrompe un’osservazione relativa alla situazione mediorientale, per elogiare (”È geniale…”) la pubblicità di una multinazionale degli elettrodomestici che ha visto poco prima per la strada. Perché promuove la motosega e il frullatore, da lui scelti fin dalla campagna elettorale come gli strumenti che meglio evocano la furia con cui promette di abbattere le istituzioni. La sua è una retorica di enunciati a effetto. Fa proclami di principio, indica finalità dichiarate, manifesta una costante radicalità della parola (con frequenti aggressioni verbali e insulti gratuiti, come detto). Nessun programma operativo ragionato, conseguente e compatibile con il dettato costituzionale, con i diritti che ne discendono, con i numeri reali dell’economia nazionale. Lo scoramento della popolazione favorisce quanti scommettono sulle soluzioni di forza.

Con entrambi gli azzardi legislativi finora bloccati dal Congresso, il Maxi-decreto e la Ley-omnibus (centinaia e centinaia di riforme affastellate a forza), Milei si è scagliato con il lanciafiamme sui diritti acquisiti dei lavoratori. Le reazioni di piazza lo hanno indotto a cercare una scorciatoia nell’accordo improvviso e silenzioso con un potente sindacato che fino al giorno prima aveva accusato di burocratizzazione e corruzione. Eppure  contemporaneamente dice: ”Se voglio riformare il diritto del lavoro sembra una follia, perché la discordanza cognitiva generata dalla scuola pubblica ha fatto il lavaggio del cervello a mezzo mondo…”. Attaccando così d’un sol colpo sindacati e pubblica istruzione.  Senza comprendere, però, che si sta dando la zappa sui piedi: infatti quella discordanza cognitiva attribuita ai suoi critici significa proclamare una cosa e farne un’altra, ricorrere allo scoperto autoinganno, ovvero proprio quanto fa lui stesso con sempre maggior frequenza nel tentativo di sfuggire alle proprie contraddizioni.

Favorita dal polverone dei social media, vede utile anche la divagazione più intima. Il personale è politico, fu detto un tempo ormai lontano, con ben differenti orizzonti. Milei vi ricorre senza il minimo imbarazzo. Condivide in prima persona la fine repentina di un fidanzamento annunciato con non minor sorpresa poche settimane addietro, quando la vita affettiva conosciuta del presidente argentino era limitata ai suoi dialoghi via medium con il cane prediletto purtroppo deceduto. A separarlo irrimediabilmente dall’attraente vedette e attrice Fàtima Flores sono i rispettivi e pressanti impegni di lavoro. “Malgrado l’affetto, il rispetto e l’ammirazione che ci portiamo reciprocamente…”, rimpiange Milei, rivendicando l’urgenza dei propri impegni. Immaginabile la mareggiata di commenti che ha invaso i media.

Siamo largamente oltre le teorie dell’intertestualità.

Più utile a definire la situazione argentina fin nei suoi aspetti paradossali, sono i personalismi e le divisioni che debilitano le opposizioni. Sul versante peronista, visto da alcuni osservatori come un gigante invertebrato, convivono da sempre almeno tre tendenze. A sinistra campeggia la leadership semicongelata di Cristina Fernandez Kirchner, 70, protagonista degli ultimi due decenni della politica nazionale. L’età e soprattutto la sterile vicepresidenza nel governo di Alberto Fernandez, che ha preceduto Milei, ne hanno però notevolmente appannato l’immagine. Il figlio Maximo aspira a ereditarne potere e prestigio, contrastato dal gruppo che ha mantenuto il governo della provincia di Buenos Aires, di gran lunga la più popolata e ricca del paese, e dall’ala moderata del movimento. A breve termine, però, determinanti saranno i rapporti di forza interni alla destra: l’ex presidente Mauricio Macri dovrà decidere se continuare a sostenere Milei dall’esterno o allontanarsene nella speranza prima o poi di succedergli.

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