Dal Colle Oppio, dove esordì nel 1998, al Circo Massimo, dove si è appena conclusa la festa di Atreju, il bambino orfano dei Pelleverde allevato dalla sua tribù indomita cui si ispira la destra di Giorgia Meloni alla guida del governo, la distanza è minima. Percorribile a piedi anche nei quindici minuti pur temerariamente promessi ai romani da Roberto Gualtieri, per niente di destra, per spostarsi da un posto all’altro nelle loro esigenze di cittadini, con lui in Campidoglio.
Quindici minuti: meno di un attimo rispetto ai 26 anni trascorsi fra quella prima edizione a ridosso del Colosseo e questa che la Meloni ha voluto chiudere schernendo e sfidando i suoi avversari. “Meloni contro tutti”, ha titolato la Repubblica.
Pur al netto di tutti gli aspetti enfatici di una festa di partito, la ormai ex underdog, come lei stessa volle definirsi ricordando più di due anni fa le condizioni nelle quali si era proposta a Palazzo Chigi, la Meloni aveva qualche ragione, almeno, per chiudere ieri con soddisfazione la festa del suo partito.
Più ancora dell’ospite più illustre e applaudito del Circo Massimo, il presidente argentino Javier Milei, che contende al trumpiano Elon Musk il titolo di maggiore amico e simpatizzante della premier italiana è stato utile al successo e alle speranze della Meloni un ospite di ben inferiore caratura come l’ex presidente del Consiglio e ora solo presidente di quel che è rimasto del MoVimento 5 Stelle: Giuseppe Conte. Che nel suo passaggio ad Atreju ha fato o confermato al pubblico meloniano la certezza che l’alternativa a questo governo è come l’Araba fenice. Che vi sia ciascun lo dice, dove sia nessuno sa.
Proprio al Circo Massimo la presunta, seconda gamba dell’alternativa di cosiddetto centrosinistra, senza alcun trattino prudenziale e identitario, ha demolito la prima costituita dal Pd di Elly Schlein, negando il carattere “organico” di un’alleanza col Nazareno. E la Schlein, dal canto suo, quasi contemporaneamente esibiva in un’assemblea del suo partito la tessera d’iscrizione dell’imminente 2025 in cui agli occhi di Enrico Berlinguer, scelti per celebrarne nel 2024 i 40 anni dalla morte, è subentrata la parola “Unità”. Cui manca solo l’articolo, pleonastico del resto con la U maiuscola, della storica testata del Pci che continua a dare il suo nome alle feste del Pd.
In una lunga e coltissima intervista – nel suo stile – a Repubblica il quasi centenario Aldo Tortorella diceva ieri: “Il partito comunista è stato una grande comunità. Ma non c’è più”. Sbagliava. Esso sta tornando, o è già tornato con la imprevedibile Schlein, e quelle sue tessere d’iscrizione che sforna ogni anno. Di fronte alle quali si spiegano anche i tentativi pur infruttuosi, più velleitari che altro, di far rivivere all’interno dello stesso Pd o collateralmente aspirazioni, nostalgie e quant’altro di Centro. Un’altra Araba fenice che nessuno sa dove sia, pur parlandone tutti.