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l'Europa a trent'anni dal crollo dell'Urss

Come sta l’Europa a 30 anni dal crollo dell’Urss

Chi c'era e cosa si è detto al convegno internazionale organizzato dalla Fondazione Craxi sul tema “Il 1991 e l’Europa a trent’anni dal crollo dell’Urss”

 

“Il 1991 e l’Europa a trent’anni dal crollo dell’Urss”. È stata la Fondazione Craxi ieri ad accendere i riflettori su una ricorrenza, cruciale della storia, dimenticata. Con uno sguardo spesso distratto o liquidatorio quando si parla dei destini dell’Europa dell’Est, di Polonia e Ungheria, Paesi bollati, con una punta di sprezzo, con l’etichetta di “sovranisti”.

Ma “la transizione dei 30 anni” (come l’ha chiamata Giovanni Orsina, presidente del comitato storico e scientifico della Fondazione Craxi, politologo della Luiss), da quando venne ammainata la bandiera rossa del Cremlino, una riflessione più profonda la impone.

A cominciare da quelli che sono oggi i rapporti tra Europa e Federazione Russa. E questo nel solco dello sguardo lungimirante di Bettino Craxi. Ovvero, ha ricordato la figlia Stefania Craxi, creatrice della omonima Fondazione, senatrice di FI e vicepresidente della commissione Esteri di Palazzo Madama, il leader che “fin dagli anni 70 si è battuto per sostenere la dissidenza nei Paesi dell’Est , fra le personalità che hanno lavorato maggiormente per arrivare al crollo del Muro di Berlino (di cui ricorre oggi 9 novembre l’anniversario, ndr)”.

Craxi fu il primo capo di partito occidentale, non a caso, ricevuto, nel 1981 in Polonia da Solidarnosc di Lech Walesa, come gran sostenitore di quelle battaglie di libertà. Per lo statista socialista, in visita nel 1984 anche nella Germania della Dddr, “i Paesi dell’Est avevano un ruolo fondamentale per abbattere il Muro, la cortina di ferro e avviare la democrazia in Urss”, ha osservato lo storico Andrea Spiri, della Luiss Guido Carli. Ed ora quali sono i rapporti tra Europa e la Federazione Russa?

La domanda fatidica l’ha posta il direttore generale della Fondazione Craxi, Nicola Carnovale, a un prestigioso parterre di accademici, studiosi italiani e dell’Europa dell’Est,  alternatosi, nella Sala Capitolare, del Senato, in piazza della Minerva, per l’intera giornata, che ha visto anche la presenza dell’ambasciatore russo Sergej Razov. Il quale ha osservato che con il crollo dell’Urss “si sono sviluppati nazionalismi radicali”.

La senatrice Craxi è stata netta: “Recuperare i rapporti con la Russia è fondamentale per l’Italia e l’Europa”.

Nella tavola rotonda finale – alla quale hanno partecipato anche gli esponenti del Pd Piero Fassino, presidente della commissione Esteri della Camera, e il sottosegretario agli Affari Europei, Vincenzo Amendola, che ha ricordato “la flessibilità multipolare” del premier e leader del Psi –  la Craxi ha messo l’accento sul fatto che “nel grande scacchiere internazionale non siamo noi l’Italia e noi l’Europa a dare le carte”.

E questo “specie se l’Unione Europea continuerà a vivere in un limbo talvolta comatoso, fatto più di retoriche che di fatti, in cui si evoca la necessità ineludibile di una difesa comune senza rendersi conto che è innanzitutto necessaria una politica estera comune e, ancor prima, la formazione di un interesse europeo che sia frutto di un processo democratico e non di una gerarchia di potenze”.

No quindi a “una politica mercantilista, che mette le questioni economiche e commerciali prima di quelle strategiche”. La sfida con la Cina è epocale e la Russia proprio per questo non può essere lasciata da sola al confronto con l’egemonia del gigante asiatico.

Per la Craxi, si va verso “una nuova bipolarizzazione”. Serve un’Europa che si confronti anche con gli Usa con “un’identità più netta”, ha detto l’ambasciatore Giampiero Massolo, presidente dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, il quale ha aggiunto un ricordo personale di quando “da giovane diplomatico andai a Mosca con Bettino”.

La chiave si chiama Occidente.

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