Donald Trump ha potuto contare nella sua carriera politica anche su una radicata sfiducia nel sistema tradizionale giornalistico. Fin dal 1972, e regolarmente ogni anno dal 1997, l’istituto di ricerca Gallup interpella gli statunitensi sulla loro fiducia nei media. Oltre 50 anni fa, gli americani che dicevano di fidarsi molto o abbastanza dei media erano il 68 per cento. Nell’ottobre 2023, a un anno dal voto, la percentuale è scesa al 32 per cento, peraltro la stessa del 2016, quando Trump vinse le elezioni presidenziali contro Hillary Clinton. Allo stesso tempo, un altro 29 per cento degli statunitensi adulti dice di non avere molta fiducia mei media, mentre il 39 per cento – cifra record – afferma di non averne affatto. “Questi quasi 4 americani su 10 che mancano completamente di fiducia nei media sono il record più alto mai registrato”, scrive Megan Brenan (2023), analista di Gallup. Il 39 per cento di sfiducia totale nei media è persino di 12 punti superiore al sondaggio del 2016, quando, tra l’altro, gli statunitensi che dichiaravano di non avere molta fiducia nei media erano il 41 per cento. Nel 2016, gli elettori Repubblicani che dicevano di fidarsi molto o abbastanza dei media erano il 14 per cento. Nel 2023, l’11 per cento.
Trump ha alimentato questa sfiducia nel sistema mediatico attraverso continui attacchi, alcuni anche personali, contro giornali, radio e tv. Nel 2018, dopo le elezioni di midterm, Jim Acosta, giornalista della CNN, ebbe un confronto serrato con Trump durante una conferenza stampa, al termine della quale l’allora presidente degli Stati Uniti chiese al suo staff di togliergli il microfono. “Pensa di aver demonizzato i migranti durante queste elezioni?”, chiese Acosta, scatenando la reazione di Trump. Il giornalista della CNN continuò a fare domande finché non gli fu impedito di parlare. “La CNN dovrebbe vergognarsi di farti lavorare per loro. Sei una persona maleducata e terribile. Non dovresti lavorare per la CNN”, disse Trump puntandogli l’indice contro. Sia alla Casa Bianca, nelle sue funzioni di presidente, sia come candidato presidente, il miliardario americano ha attaccato tv e giornali etichettando articoli, servizi, inchieste, notizie, come “fake news”. Durante il prolungato scontro con Acosta, Trump gli disse di essere un “nemico del popolo”. Risultato: l’amministrazione Trump revocò le credenziali giornalistiche di Acosta per l’accesso alla Casa Bianca. Come ha notato Emily Bell (2019) su The Atlantic, questa è stata la prima volta che Trump ha usato la sua autorità per cercare di revocare le credenziali della stampa, anche se negare ai giornalisti l’accesso alla Casa Bianca non è una novità; Robert Sherrill di The Nation non è riuscito a ottenere l’autorizzazione dei servizi segreti per un lasciapassare durante la presidenza di Lyndon B. Johnson (in questo caso, i tribunali hanno ripristinato il lasciapassare di Acosta sulla base del fatto che il suo diritto a un giusto processo era stato violato, dopodiché la Casa Bianca ha affermato che non avrebbe perseguito il divieto).Ma, ha scritto ancora The Atlantic, “anche se il tentativo di escludere un giornalista dalla West Wing è scioccante, non è questa la principale minaccia alla libertà di stampa creata da questa presidenza”. Il maggior danno che Trump ha arrecato “sta nel suo atteggiamento che mina la credibilità dei giornalisti, in particolare quelli che indagano sui suoi affari, o quelli che sono più generalmente considerati avversari. Anche la mancanza di rispetto di Trump nei confronti delle reporter donne e dei reporter di colore ha effetti diffusi”.
Non è tuttavia una specificità di Trump: la capacità dei personaggi pubblici di emarginare e controllare l’accesso alla stampa si sta normalizzando lungo tutto l’arco costituzionale, dappertutto, in ogni paese: “Anche l’abitudine di Trump di ripetere bugie oltraggiose ha complicato le cose”, scrive ancora The Atlantic. I giornalisti devono fare i conti con la distrazione di massa quando cercano di arrivare alla verità attraverso i caotici corridoi del potere. “Solo una società intatta sviluppa la spinta alla verità. L’affievolirsi della spinta alla verità e la disintegrazione della società sono reciprocamente dipendenti”, dice Han (2023, p. 61), che spiega perché “la crisi della verità si diffonde laddove la società si disgrega in raggruppamenti o tribù tra i quali non è più possibile alcuna intesa, alcuna designazione vincolante delle cose. Nella crisi della verità si perde il mondo comune, anzi il linguaggio comune. La verità è un regolatore sociale, un’idea regolatrice della società” (2023, pp. 61-62).
“You are fake news”, disse Trump sempre ad Acosta nel gennaio 2017, a poche settimane dalla vittoria elettorale, rifiutandosi di rispondere alle domande del giornalista. La retorica delle “fake news” è sempre piaciuta molto a Trump, che ha così catalizzato l’attenzione del pubblico attaccando giornali e tv, peraltro nominandoli direttamente. Il 17 febbraio 2017, Trump attaccò l’industria “FAKE NEWS media”: New York Times, NBC News, ABC, CBS, CNN. “Non è il mio nemico, è il nemico del popolo americano”. Non c’è niente di più populista, naturalmente, che solleticare gli umori del popolo contro un sistema tradizionale, sia esso politico o mediatico. Come ha spiegato lo stesso Acosta (2020), l’idea di definire nemico del popolo i media non compiacenti è venuta a Steve Bannon, lo stratega di estrema destra che ha contribuito a portare Trump alla Casa Bianca. Lo stesso Bannon però ha preferito condividere il merito con il suo ex capo: “‘Penso che sia giusto dire che entrambi abbiamo avuto questa idea’, ha detto Bannon (O’ Hehir 2019), assicurandosi che Trump ricevesse parte del merito”. Bannon aveva parlato per primo di “partito mediatico di opposizione”, poi lo stesso Trump se ne è uscito con la frase “Le fake news sono nemiche del popolo”.
L’idea insomma è sempre la stessa, alla base. C’è un “Noi” e c’è un “Loro”. Da una parte c’è il popolo che reclama attenzione per le proprie disavventure, dall’altra parte c’è un sistema mediatico corrotto e colluso. Trump è lì per risolvere tutti i problemi dei cittadini statunitensi; i giornali sono lì per impedirgli di fare il suo mestiere. Così si alimenta la sfiducia fra il popolo e i media, perché il rappresentante più autorevole dei cittadini vuole essere proprio Trump, che è al contempo presidente e tribuno popolare. La disinformazione e la manipolazione dei populisti sono dunque un fenomeno calato dall’alto, uno strumento scagliato contro i media tradizionali, rei di non fare davvero gli interessi del popolo.