Iniziano oggi alla Camera dei Comuni i 5 giorni di dibattito che dovranno portare, martedì 15 gennaio, al voto sul Brexit Deal, l’accordo firmato dal Governo May con Bruxelles sull’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea.
Le cose si sono subito messe male per May. Nella giornata di ieri il Governo è stato battuto su un emendamento presentato dai Laburisti per impedire un’uscita dall’UE senza alcun accordo, il cosiddetto “No Deal”. Hanno votato con l’opposizione 20 parlamentari dei Tories, tra cui alcuni di “peso” come Michael Fallon, Justine Greening e Sir Oliver Letwin. Allo stesso modo i 10 parlamentari del Partito Democratico Unionista (DUP), decisivi per tenere in vita il Governo a Westminster, hanno rimarcato che non voteranno l’accordo così com’è, per via del “backstop” in Irlanda del Nord, che, secondo loro, comprometterebbe il futuro di Belfast nel Regno Unito.
Attualmente è difficile ipotizzare un successo per May, che sta perorando la sua causa con vigore nel tentativo, vagamente thatcheriano, di presentarla come senza alternative credibili. Non ci sono maggioranze ai Comuni sulla Brexit. I parlamentari più vicini al People’s Vote, la lobby che chiede un secondo referendum sull’UE per ribaltare il risultato di quello, storico, del 23 giugno 2016, sono in minoranza. Chi ieri ha votato contro l’ipotesi estrema di un “No Deal”, non offre concrete alternative al progetto di May. Invece i Brexiteers duri e puri possono respingere il piano del Governo e direzionare il Parlamento verso un’uscita senza accordo tra Londra e Bruxelles. Un’ipotesi temuta da molti analisti, ma presa in considerazione ormai anche dalla stessa May nella peggiore delle ipotesi.
Oggi sul nuovo Daily Mail non più antieuropeista come ai tempi di Paul Dacre, l’opinionista (e professore universitario) John Rentoul si è scagliato contro il Leader dell’Opposizione Jeremy Corbyn, accusando di short-termism (cioè di essere di corto respiro) la sua strategia dell’ “ambiguità costruttiva”. Corbyn punta a elezioni anticipate, anche se gli ultimi sondaggi pubblicati da YouGov non sembrano dargli manforte: I Conservatori sarebbero al 40% e il Labour al 34, con un calo di 5 punti rispetto all’ultima rilevazione. Il segretario laburista si può però consolare pensando al 2017, quando tutti prevedevano la sua disfatta e il trionfo di May e si ritrovò a una cinquantina di seggi da Downing Street.