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Come Macron prepara la ricostruzione post Covid in Francia

Il punto di Enrico Martial

 

Ieri, 14 giugno, alle 20, il presidente francese Emmanuel Macron ha pronunciato il quarto discorso televisivo dall’inizio della crisi sanitaria. Insieme all’elenco delle ultime misure di alleggerimento, ha tracciato il percorso per la ricostruzione, per gli ultimi due anni del suo mandato.

Da un lato ci sono le pur prudenti buone notizie, di riscoperta della vita di sempre. Tutti gli alunni delle scuole elementari e medie tornano a scuola per l’ultima settimana di lezioni, dal 22 di giugno, i bar e ristoranti riaprono anche nella regione parigina, il secondo turno delle municipali si terrà il 28 giugno. Permangono restrizioni sui grandi raduni mentre le visite nei centri per anziani sono di nuovo possibili. L’estate non sarà uguale agli anni scorsi ma il messaggio è positivo, di ritorno alla normalità e soprattutto al lavoro.

Dall’altro lato, Macron ha tracciato le linee portanti della ricostruzione. Se l’intervento pubblico è stato enorme, pari a 500 miliardi di euro, va ricordato che si aggiunge a un debito pubblico già elevato. Poiché le imposte non saranno aumentate, la via di uscita è nell’aumento della ricchezza prodotta.

Creare maggior valore aggiunto permetterebbe di contenere la perdita di posti di lavoro e i fallimenti: nei commenti a caldo che ne sono seguiti – su France 2 e sulla stampa online – si è subito pensato ai livelli salariali e alla settimana di 35 ore. Nelle analisi di questi giorni, la strategia viene anche inquadrata nella continuità delle riforme avviate: sulle pensioni, per sostenibilità ed equità, sull’attrattività – tecnologica, di ricerca e innovazione (la Start up Nation), sul contrasto ai corporatismi, sulla trasformazione ambientale come opportunità di crescita, sull’Europa come area di riferimento per sviluppare maggiore capacità produttiva rispetto alla globalizzazione in crisi.

A fianco della maggiore produttività, c’è infatti il versante delle nuove attività. Oltre che sul sistema sanitario, sull’istruzione e sulla formazione, la mano pubblica sarà forte nel digitale, nell’ambiente, nell’energia e nella rilocalizzazione di attività da riportare in Francia (e in Europa), come ha insegnato l’esperienza dei materiali sanitari cinesi.

Si tratta di revisione e rilancio di settori industriali – compreso quello marittimo (con effetti dunque anche sulle attività in accordo con Fincantieri) –  ma anche agricoli. A cascata, ne derivano imprese e posti di lavoro e non solo nella riqualificazione energetica degli edifici o nel trasporto pubblico sostenibile, a cui pure ha fatto cenno.

Questa rilettura “in continuità”, anche se con più forte presenza pubblica post-Covid, del programma dei cinque anni presenta invece una sostanziale novità sui poteri locali e indipendenti. A essi Macron aveva inizialmente guardato in una logica centralista di contenimento di costi e sovrapposizioni, che ha per esempio prodotto l’accorpamento e la riduzione del numero di Regioni. Ieri ha invece detto che continuerà il processo di decentramento e di deconcentrazione da Parigi, con maggiori responsabilità e mezzi per le istituzioni di cui ha sottolineato creatività e iniziativa durante la crisi sanitaria, quelle regionali e locali e quelle indipendenti, come le università.

Questo approccio meno verticistico si è sviluppato sin dal discorso televisivo del 18 ottobre 2018 e dalla consultazione politica avviata dal dicembre di quell’anno sulla scia della crisi dei gilets jaunes. In questi giorni, lo conferma l’apertura del movimento di Macron, LREM, alle collaborazioni o desistenze per il secondo turno delle municipali con le forze più classiche, per esempio Les Républicains a Lione o Bordeaux. Si tratta forse dell’abbandono del monopolio politico sul futuro della Francia intesa come “République en marche”, ma anche di un modo per distribuire le responsabilità del percorso di ricostruzione.

D’altra parte, per la strategia dei prossimi due anni, con caduta del PIL, crisi del lavoro e delle imprese, occorrono due condizioni di funzionamento, entrambe orientate alla stabilità.

La prima è politica, ed è il concorso di tutti: con il richiamo all’unità nazionale e allo spirito repubblicano Macron si riferisce non solo alle forze politiche ma all’insieme del comparto politico e istituzionale, ai vari livelli elettivi e amministrativi che partecipano alla vita pubblica, dai corpi intermedi ai diversi organismi indipendenti.

La seconda riguarda invece la sicurezza in senso stretto. Macron ha preso posizione nettamente a favore delle forze di polizia e della gendarmeria. La stabilità dello Stato non si discute, la si migliora rafforzando il senso di appartenenza, rimuovendo discriminazioni, razzismi, incentivando le pari opportunità per tutti, soprattutto sul piano economico e sociale. Non è invece ammessa la rimozione dei monumenti o le riscritture falsate della storia nazionale, che va invece elaborata anche per capire il presente e per il futuro.

Lo Stato garantisce lo spazio pubblico neutrale e non sono ammessi “comunitarismi” o “separatismi”, con comunità musulmane (nei quartieri o in alcuni comuni minori) che seguono propri principi o norme: su questo tema Macron era intervenuto a Mulhouse il 18 febbraio e prima ancora, nell’ottobre del 2019. Sono due aspetti che lasciano intendere un processo di ricostruzione senza concessioni negli affari interni a jacquerie in formato gilets jaunes oppure a instabilità per quartieri o a terrorismi interni da radicalismo islamico.

Il discorso di Macron prepara le prossime scadenze, anzitutto la campagna elettorale per il secondo turno delle comunali del 28 giugno e il Consiglio europeo di luglio, il primo durante il semestre di presidenza tedesca. Vi si dovrà confermare la condivisione della ricostruzione con il Recovery fund e con gli altri strumenti comuni insieme a una più marcata indipendenza europea rispetto a Cina, Stati Uniti e “disordine mondiale”.

Macron ha annunciato che i dettagli del programma saranno resi noti a luglio, mentre la stampa ne esamina le conseguenze e la coerenza con la squadra di governo. Il primo ministro Edouard Philippe, con cui Macron ha certamente lavorato bene, è meno “europeo” e innovatore del necessario e forse un po’ alto nei sondaggi, mentre altri ministeri restano sotto osservazione, come per esempio gli interni, dove opera al momento Christophe Castaner.

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