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Giorgetti

Come i giornali leggono il ritiro di Berlusconi

Viaggio fra titoli ed editoriali dei quotidiani sul ritiro di Berlusconi dalla corsa per il Quirinale. I Graffi di Damato

 

Non sono due na neppure una sola la notizia uscita da Arcore e affidata da Silvio Berlusconi alla senatrice e assistente di turno Licia Ronzulli, disertando il vertice pur da remoto reclamato dagli alleati. Sono state almeno una notizia e mezza, ma forse anche due mezza, come vedremo.

La mezza notizia, essendo ormai scontata dopo il preannuncio del Giornale di famiglia, è la rinuncia di Berlusconi alla corsa al Quirinale. O “la resa”, come hanno preferito chiamarla nei titoli i quotidiani pur sostanzialmente fiancheggiatori del gruppo Riffeser Monti: Il Giorno, il Resto del Carlino e la Nazione. Una rinuncia o resa da “statista nell’interesse del Paese”, come è stato sottolineato dal Giornale condividendo evidentemente le stime ottimistiche dell’interessato sulla disponibilità effettiva dei voti .

Un notizia intera, su cui solo Vittorio Sgarbi, al termine della campagna telefonica fra i parlamentari a favore dell’amico, aveva scommesso smentendo le aperture attribuite ad una visita di Gianni Letta a Palazzo Chigi nella scorsa settimana, è il dispetto quanto meno politico, se non anche personale, fatto da Berlusconi a Mario Draghi per eccesso di stima, apprezzamento e quant’altro per il suo ruolo di presidente del Consiglio. Che l’interessato farebbe pertanto bene a ricoprire ancora, almeno sino alla fine ordinaria della legislatura, nel 2023, rinunciando pure lui alla candidatura al Quirinale adombrata con quella specie di parabola del “nonno a disposizione delle istituzioni” raccontata nella conferenza stampa del 22 gennaio. Una parabola che Berlusconi, già impegnato a suo modo nella corsa al Quirinale, deve avere interpretato come una sfida a lui, che pertanto ora l’ha ricambiata. E di “sfida”, appunto, ha scritto nel suo editoriale il direttore del Giornale Augusto Minzolini.

A questa sfida per sospetta “tigna”, si dice a Roma, hanno dedicato i loro titoli compiaciuti due giornali così opposti politicamente ma convergenti contro Draghi: Il Fatto Quotidiano di Marco Travaglio, su sfondo azzurro, e Libero di Alessandro Sallusti su sfondo rosso. Addirittura Libero nella sua foga contro il presidente del Consiglio lo ha decollato. Travaglio invece si è accontentato di vederlo in bilico sulla buccia di banana appena lanciata con perfidia da Berlusconi sul percorso quirinalizio. Va però detto che con una certa prudenza inusuale Travaglio non ha rappresentato Draghi a terra, evidentemente consapevole o timoroso che ci siano ancora margini per la sua candidatura, per quanto sostenuta più o meno chiaramente – ha fatto scrivere nel titolo – dai “2 Letta”, zio Enrico e nipote Gianni, “Giorgetti e Toti”, dimenticando chissà perché Giorgia Meloni. Che invece dall’interno del centrodestra ornai sfasciato da Berlusconi – e questa può ben essere vista come la seconda notizia intera prodotta dalla rinuncia o dalla resa del Cavaliere – si è subito dissociata dal dispetto, sgambetto e quant’altro a Draghi. Che lei è pronta a far votare dai suoi parlamentari nella speranza che poi la situazione politica evolva verso le elezioni anticipate.

“Buio sul Colle”, ha titolato non a torto Avvenire, il giornale dei vescovi italiani, prevedendo quanto meno una lunga serie di votazioni a Montecitorio da domani pomeriggio, in attesa di un accordo largo o stretto che sia fra i partiti, franchi tiratori permettendo. Ma le preoccupazioni di Avvenire non sono condivise dal Giornale, dove Minzolini ha ricordato che “la media ponderata” delle elezioni presidenziali è di “11 scrutini”, in cui “non è mai morto nessuno”. Nel 1992 tuttavia la mafia volle partecipare a suo modo alle lungaggini parlamentari per la successione a Francesco Cossiga con la strage di Capaci, costata la vita a Giovanni Falcone, alla moglie e a quasi tutta la scorta. Seguì l’elezione “emergenziale” di Oscar Luigi Scalfaro, ancora fresco dell’arrivo alla presidenza della Camera.

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