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Americani Elezioni Pennsylvania

Come andrà l’economia degli Usa

Che cosa succederà all'economia Usa secondo l'analista Fugnoli

 

È possibile mantenere un approccio costruttivo al futuro degli asset finanziari con quello che sta succedendo sul fronte della pandemia? Negli ultimi giorni le borse hanno risposto di no, con momenti di buio profondo e quasi disperato.

La prospettiva di tornare alle fasi peggiori della primavera, il sospetto che invece di avviarsi a sparire il virus possa imperversare tutti gli anni che vorrà e la consapevolezza che i vaccini offriranno una copertura parziale e precaria si è combinata con la sensazione che la pandemia non sia più controllabile, che le società siano diventate insofferenti alle misure di contenimento, che i danni ai settori colpiti stiano diventando irreversibili, che il malcontento sociale stia montando velocemente. I governi, dal canto loro, sono sembrati impotenti e paralizzati, incapaci di scelte nette tra salute pubblica e salvezza dell’economia e quindi perdenti su entrambi i fronti.

Aggiungiamo a questo il silenzio delle banche centrali, dovuto alle elezioni imminenti in America e alla semiparalisi della Bce per l’ostruzionismo tedesco verso ulteriori misure monetarie prima di dicembre in Europa. Consideriamo poi le elezioni americane che non arrivano mai e che quando arriveranno saranno per giorni di lettura impossibile se, come sembra, in molti stati chiave i due schieramenti saranno divisi solo da un pugno di voti. Mettiamoci anche l’effetto di un pacchetto fiscale sul quale c’è stata una finta trattativa, perché né la Speaker Pelosi né i repubblicani del Senato avevano fin dall’inizio intenzione di arrivare a un compromesso. Inseriamo il tutto in un contesto di borse stanche, senza più grandi idee e con valutazioni alte in certi settori e meritatamente basse negli altri e abbiamo tutti gli ingredienti per una tempesta perfetta.

Il problema, ora che la tempesta c’è stata e non possiamo più tornare indietro nel tempo per vendere, è capire se si è trattato di un allineamento passeggero di stelle funeste, frequente in ottobre per i motivi più vari, o se è cambiato il paradigma di questi ultimi sei mesi, fatto di stimoli monetari e fiscali, di vaccini in arrivo e di tecnologia da lavoro e di intrattenimento che fa salire le borse verso nuovi massimi.

La risposta va cercata a metà strada, ma l’aspetto incoraggiante è che le ragioni del pessimismo sono congiunturali e di breve termine, mentre quelle dell’ottimismo sono strutturali e di medio e lungo termine. Nel breve, oltre al limbo elettorale americano, mettiamo anche l’ondata di Covid in Europa. Questa ondata mette certamente in questione la superiorità del modello europeo e il suo approccio scientifico tanto decantato nella narrazione tedesca di questi mesi, ma resta vero che l’epidemia, anche mal controllata, procede a fasi intermittenti che hanno finora smentito le ipotesi estrapolative di allargamenti continui con progressione geometrica.

Insomma, anche se dovessimo abituarci a vivere tra fasi intermittenti di pandemia per molti anni ancora, da una parte impareremmo ad adattarci (colpisce che le linee aeree americane, sia pure tra aumenti di capitale e licenziamenti, siano già oggi non tanto lontane dal pareggio di quanto si poteva immaginare) e dall’altra continueremmo a trarre vantaggio dal nuovo orientamento superespansivo fiscale e monetario, che rimarrà in essere anche se il virus si allontanerà dalle nostre vite o verrà sconfitto da farmaci e vaccini.

Anatole Kaletsky, un fiero antitrumpiano, fa notare che l’enfasi di Biden su Covid è in larga misura strumentale ed elettorale e non deve far pensare a un’amministrazione Biden impegnata a tenere chiusa in casa l’America. Biden, se toccherà a lui, avrà come priorità l’economia, esattamente come Trump ed esattamente, a ben vedere, come i governi europei in questa seconda ondata di lockdown in larga misura marginali, simbolici e pedagogici. Avere a cuore l’economia, nel nuovo contesto, significherà continuare a stimolarla con ampi disavanzi monetizzati dalle banche centrali.

È vero, i repubblicani del Senato americano hanno mostrato da agosto in qua una certa avversione nei confronti di una politica fiscale ancora più aggressiva. Trump, è stato fatto notare, in questi anni ha cambiato più i democratici che i repubblicani e ha avuto più problemi in casa propria che con la Pelosi nelle trattative sul pacchetto fiscale di due trilioni appena ritornato nel cassetto. La storia degli ultimi dieci anni dimostra però che i repubblicani sono dispostissimi a dimenticare il pareggio di bilancio se si tratta di stimolare l’ economia tagliando le tasse. Un eventuale futuro Senato ancora repubblicano non avrà quindi problemi a proseguire sulla linea di compromesso bipartisan degli ultimi anni, con tagli di tasse uniti agli aumenti di spesa richiesti dai democratici dell’altra camera.

Anche la Germania, che in questi mesi aveva provato ogni tanto a rimettere in circolazione il tema del ritorno all’ordine fiscale e monetario, non andrà molto avanti su questa strada, perché la pressione del dollaro tendenzialmente debole costringerà l’Europa a seguire l’America sulla sua strada non ortodossa.

Già la settimana prossima potremo vedere un recupero delle borse quale che sia l’esito elettorale. Se le possibili contestazioni sull’esito del voto in alcuni stati o i lunghi ritardi negli scrutini creeranno ansia sui mercati, sarà un’occasione di acquisto. Comunque vadano le cose, il 20 gennaio a mezzogiorno l’America insedierà ufficialmente il suo presidente ed entro il mese successivo avrà varato il pacchetto fiscale straordinario da due trilioni. Per quell’epoca ci sarà sicuramente un vaccino in distribuzione iniziale in alcuni paesi e in alcune fasce della popolazione.

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