L’Unione Europea saluta il 2020 con un accordo storico, quello che ha sancito il divorzio pacifico tra l’Unione e la Gran Bretagna.
Un accordo che non scontenta le parti, che evita i dazi e che permette alle merci di continuare a circolare senza balzelli.
Della Brexit, degli scenari futuri e della posizione dell’Italia Start Magazine ha parlato con Carlo Pelanda, analista, saggista e docente di economia e geopolitica economica presso l’Università Marconi.
Chi vince e chi perde dall’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea?
Io direi che non perde nessuno perché alla fine il buon senso ha fatto sì che sia stato raggiunto un accordo, un compromesso non solo utile ma necessario per tutte le parti coinvolte. L’azione molto incisiva della Cancelliera tedesca Angela Merkel e della Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen ha permesso la stipula di un accordo per la Brexit. Senza il loro intervento, che probabilmente ha scontentato la Francia, ci sarebbe stata una Brexit senza accordo con l’UE e sarebbe stato un danno per tutti. Diciamo che io avrei scommesso sulla stipula di un accordo perché la Gran Bretagna non poteva farne a meno.
Quali sono le ragioni per le quali il Regno Unito non poteva fare a meno di trovare un accordo con l’Ue?
Il Regno Unito stava rischiando grosso prima di tutto nei confronti della tenuta della sua integrità territoriale. Gli scozzesi erano pronti, non appena ci fosse stato il no deal, e sarebbero partiti con il referendum, e questa volta il risultato avrebbe potuto essere favorevole all’indipendenza della Scozia. Poi, sempre dal punto di vista britannico, non sarebbe stata gestibile la posizione dell’Irlanda del Nord se avesse messo confini con la Repubblica d’Irlanda. Questo avrebbe potuto mettere le basi per un nuovo conflitto, cosa che Londra non può permettersi. Da ultimo anche il Galles aveva iniziato a subire la pressione scozzese.
Ha avuto un ruolo anche il mondo degli affari e della finanza?
La comunità degli affari ha premuto parecchio sul Premier Boris Johnson che ha tenuto una linea negoziale abbastanza dura e poi, il lavoro di tecnici molto bravi, sia europei che britannici, che hanno fatto un lavoro certosino, ha permesso di arrivare a un compromesso il cui succo è che dopo la Brexit abbiamo la Brex-In.
Cos’è la Brex-In?
Dico Brex-In perché il Regno Unito mentre usciva dall’Unione Europea è rientrato pienamente nel mercato europeo accettando anche una serie di regole.
A prendere l’iniziativa è stata la Germania perché non poteva rischiare di rinunciare a decine di miliardi di export. La Germania ha fatto pressione anche sulla Commissione Europea dando prova di capacità imperiale impressionante, ha messo i francesi all’angolo. La Francia non ha protestato perché loro avrebbero pagato un prezzo forse maggiori di tutti se ci fosse stata una hard Brexit senza accordo.
Lu “La Verità” lei ha scritto che l’accordo è una buona notizia per il settore della difesa italiano. Perché?
La nostra Leonardo, con le sue controllate, è molto legata con l’industria della difesa inglese. La Francia e la Germania hanno l’intenzione di depotenziare, di distruggere il potenziale industriale militare e tecnologico italiano per assorbirla. Senza una regolamentazione delle relazioni industriali, in una condizione di hard Brexit, ci sarebbero stati mille scuse per rendere meno fluidi i rapporti tra Italia e Regno Unito che, invece, stanno lavorando molto bene insieme, stanno preparando progetti molto importanti come il caccia di terza generazione Tempest che è in concorrenza con il più evoluto caccia franco-tedesco. La Francia vuole prendersi il primato dell’industria tecnologia e militare e usare i fondi europei per i suoi progetti nazionali. L’Italia è un grande competitore, la Germania meno. La Francia era già pronta ad usare una hard Brexit per costringere Leonardo a farsi comprare dai francesi.
Il settore della difesa è l’unico nel quale l’Italia guadagna da una Brexit con deal?
No, l’Italia ci guadagno molto anche sull’export alimentare. È scampato il pericolo, è stato evitato il rischio di dogane. Poi, che le merci italiane possano risultare competitive nel mercato interno britannico è da vedere perché il Regno Unito sta facendo accordi, ne ha fatti più di venti, con tutto il mondo e ancora non sappiamo cosa possa succedere. Sul piano della forma per il momento si sono evitati i dazi e dunque un danno pauroso per l’agroalimentare italiano. Le dico solo che il maggior consumo di prosecco nel mondo è a Londra.
Molto dipenderà dalle relazioni euro-americane. Riusciremo a capire qualcosa non prima della prossima estate, allora si capirà se ci sarà un trattato di libero scambio euro-americano. Oppure se resterà un po’ una separazione tra Unione Europea e Stati Uniti perché Biden ha la priorità di mettere a posto gli Stati Uniti e capire in che direzione andranno le relazioni con la Cina. Quindi non ci saranno azioni veloci. Da tutti questi movimenti dipende il clima politico che favorisce o sfavorisce le esportazioni in un paese.
I media liberal inglesi e non sono molto preoccupati dalla temuta di Londra come capitale finanziaria europea. È una preoccupazioni legittima?
Londra resterà una capitale finanziaria mondiale. Perché c’è una concentrazione di competenze che altrove non c’è, nemmeno a New York. Poi se i servizi finanziari di origine britannica possano ancora fare operazioni nell’Unione Europea è ancora da vedere. La Francia si metterà di traverso perché vuole prendere il predominio, ci sarà un po’ di guerra economica. La Germania ancora non ci ha pensato. L’accordo sulla Brexit è arrivato in extremis, nessuno ha ancora pensato al futuro. La partita più importante sono i servizi finanziari, se dovessero essere bloccati il Regno Unito dichiarerà guerra all’Unione Europea oppure inizierà a fare shock sul debito dell’eurozona. Sarà una partita divertente.
Se non i concorrenti europei cosa preoccupa gli investitori inglesi in merito al mercato europeo?
La finanza americana in primis, poi la preoccupazione europea deriva dal fatto che sarà necessario disporre di passaporto per fare operazioni finanziarie da Londra su tutto il continente. Se la cosa si aggrava, e dovessero esserci regole troppo rigide in Europa, varieranno il loro mercato, preferendo altri mercati come il Sud America o la Cina. Alla fine penso che vincerà il buon senso. Non permettere ai servizi finanziari inglesi di operare nell’eurozona significa togliere capitale all’eurozona. La libera circolazione dei capitali continuerà.
L’uscita della Gran Bretagna può essere un volano per la rapidità di azione dell’Ue o si rischia l’effetto domino?
Quella dell’effetto domino è una preoccupazione esagerata. Dall’Eurozona nessuno se ne va perché in caso di uscita il prezzo è talmente alto che si rischia la morte. L’UE non è un soggetto sufficientemente strutturato per porre dei problemi seri tali da causare un’uscita. A parte i paesi dell’eurozona, gli altri usano strumentalmente l’Unione Europea ma si guardano bene dall’entrare nell’eurozona e sottoporsi a tutti i vincoli. Le nazioni dell’Europa dell’est (Polonia, Ungheria, Romania) sono nell’UE perché devono esserlo ma non si sentono molto europei. Slovenia e Croazia hanno interesse ad aderire perché vedono miglioramenti se adottano l’euro.
Non ci sono zone dell’Europa a cui porre particolare attenzione?
I Paesi Baltici sono molto interessanti. Il Regno Unito ha una politica di grande attenzione ai Paesi Baltici perché fanno parte dello spazio vitale inglese, la ragione per la quale il Regno Unito ha una posizione molti dura nei confronti della Russia. I paesi baltici sono gli unici che potrebbero uscire, però non hanno nessuna intenzione di farlo.
L’Unione Europea senza la Gran Bretagna può correre più veloce?
L’Europa è è una realtà abbastanza strutturata ma non un’Unione. È uno strumento di moltiplicazione della potenza nazionale. Ogni Paese va per la sua strada, tranne l’Italia che non riesce ancora a conquistare un’autonomia.
Cosa pensa della posizione italiana sulla Brexit?
Il governo ha fiancheggiato la Francia, non comprendendo il proprio interesse nazionale. Per me è un po’ umiliante sentire i colleghi diplomatici parlare dell’Italia come una nazione che non ha uno Stato e che non ha la capacità di definire i propri interessi nazionali. L’Italia avrebbe dovuto essere interessata a scardinare l’equilibrio europeo, a rinforzare il legame con gli USA. Nella realtà si è fatta completamente annullare. Siamo uno Stato occupato, condizionato, che non si muove, ricattato dal debito. Nemmeno tenta di fare una politica estera. L’attuale governo non definisce il priori interesse nazionale ma si accoda alla Francia perché evidentemente la Francia è riuscita a mettere personaggi molto leali agli interessi francesi all’interno del Governo italiano. A tal punto che ha dovuto metterci una pezza il povero Mattarella che ha intensificato gli scambi con il suo omologo tedesco. Il Presidente Mattarella è molto europeista, difende l’Italia dall’occupazione francese cercando di dare segnali circa i buoni rapporti con la Germania. L’unica eccezione che mi sento di fare riguarda il ministro della difesa che ha tenuto fermo l’asse della collaborazione con la Nato e gli USA. Ma questo non basta per conferire un profilo di capacità negoziale all’Italia.