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Macaluso salvini renzi

Chi stecca nei concerti politici di fine anno

Che cosa fanno e dicono Matteo Salvini e Matteo Renzi. I Graffi di Damato

In tempi -non dimentichiamolo- di concerti di fine anno, programmati ed eseguiti ad ogni livello nonostante il ferro e il fuoco delle guerre che continuano, persino aumentando di ferocia, ci possono anche stare le stecche. Come quelle che hanno offerto alle cronache i due Mattei della politica italiana che sono Renzi e Salvini, questa volta in ordine non solo alfabetico.

Renzi nell’aula del Senato ha colto l’occasione del solito, rapido esame del bilancio dello Stato in un sistema che già lui da Palazzo Chigi avrebbe voluto rendere monocamerale a Costituzione modificata, e che i successori avrebbero introdotto di soppiatto, a Costituzione invariata; Renzi, dicevo, ha colto l’occasione del suo intervento per dare del “camerata” al presiedente dell’assemblea Ignazio La Russa. Che aveva osato interromperlo in diretta televisiva. Del camerata e anche del sordo per non avere avvertito i “rumori” che dai banchi della maggioranza disturbavano le critiche di Renzi al governo e alla manovra finanziaria, contenente anche un intervento contro i suoi guadagni di conferenziere e altro all’estero.

Ai battibecchi d’aula sono seguiti quelli fuori d’aula, comprensivi di un comunicato del presidente destinato ad archiviare davvero la pagina di quasi complicità fra lo stesso Renzi e La Russa con la quale si era aperta nel 2022 la legislatura in corso. Quando il secondo, come sanno ormai anche le pietre a Palazzo Madama, fu eletto alla Presidenza del Senato, seconda carica dello Stato, fra le resistenze di Silvio Berlusconi con l’appoggio dei renziani coperti dal voto segreto.

Ora, nelle vesti ormai scelte e vantate in pubblico di partecipe di una pur improbabile alternativa al centrodestra, viste le divisioni che permangono fra le opposizioni, Renzi può anche inserire lo scontro con la Russa nelle prove a favore della sua nuova collocazione politica. Ma chissà se basterà a sopire la vigilanza che continua ad esercitare contro di lui, ancora sotto le insegne delle cinque stelle, quel Giuseppe Conte che non gli ha mai perdonato di avergli fatto perdere Palazzo Chigi per spingervi Mario Draghi.

La stecca di Salvini, l’altro Matteo, è consistita invece in un’altra delle sue dichiarazioni da ministro delle Infrastrutture che è tornata ad alimentare cronache e retroscena del suo rimpianto del Viminale. Che sembra cresciuto da quando egli ha visto nell’assoluzione con formula piena, appena avuta a Palermo dall’accusa giudiziaria di avere sequestrato come ministro dell’Interno, più di cinque anni fa, quasi 150 migranti clandestini ritardandone lo sbarco dalla nave spagnola che li aveva soccorsi col proposito di portarli in Italia, e in nessun altro paese bagnato dalle acque del Mediterraneo. “Ne parlerò con Giorgia”, è tornato a dire Salvini pensando al Viminale e riferendosi alla Meloni. Che però sembra avere ben altro per la testa, forse non a torto perché non siamo solo in tempi di concerti e di stecche.

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