È tempo di aspettare e incrociare le dita. I cittadini americani si recheranno alle urne martedì 5 novembre per decidere se il paese continuerà a essere governato da un’amministrazione democratica, con il passaggio di testimone dal vecchio Joe Biden alla sua vicepresidente Kamala Harris, o se il magnate di estrema destra Donald Trump tornerà alla Casa Bianca. Gli europei trattengono il fiato, perché un eventuale ritorno di Trump sarebbe un altro shock esterno, destinato a influire su quasi tutti i loro affari: dalle relazioni con i loro vicini, passando per il commercio e la politica di difesa, fino al probabile crollo militare dell’Ucraina e all’atteggiamento della Russia in uno scenario simile. La maggior parte degli europei preferisce la candidata democratica e la continuità. Ma Trump ha sempre più amici nell’Unione Europea, a differenza di otto anni fa, quando solo l’ungherese Viktor Orbán gli aveva mostrato simpatia. Le preferenze elettorali degli europei quando ci sono elezioni in paesi terzi è un altro modo di osservare l’ascesa dell’estrema destra in Europa.
Orban non è più solo. Ora è il leader a capo di una banda che cresce sempre di più. Con lui, a rallegrarsi di una vittoria di Trump c’è lo slovacco Robert Fico, sedicente socialdemocratico ma in realtà un populista favorevole alla Russia di Vladimir Putin e contrario all’Ucraina di Volodymyr Zelensky. C’è anche l’olandese Geert Wilders, ammiratore della prima ora di Donald Trump, dalla tinta per capelli bionda, diventato l’uomo forte del governo olandese, anche se non ne è membro. E c’è il miliardario ceco Andrej Babiš, che ha appena trionfato alle elezioni regionali con il suo partito ANO, sedicente liberale, ma in pratica molto simile a Fico e Orbán, che si colloca a destra della destra. Babiš punta a una chiara vittoria nelle elezioni legislative del prossimo anno, nonostante sia da oltre un lustro coinvolto in casi di conflitti di interesse. Infine c’è Janez Janša, ex premier che potrebbe tornare al potere in Slovenia.
Giorgia Meloni si è avvicinata all’atlantismo nei mesi che hanno preceduto il suo arrivo al potere. Era impensabile che la terza potenza europea, con basi Nato e un presenza militare statunitense sul suo territorio, virasse verso Mosca. Ma gli equilibri che si erano allineati in un certo modo poco più di due anni fa potrebbero riallinearsi in modo diverso dopo il 5 novembre. Da che parte starebbe Meloni, da quella di Trump o da quella di un’Europa che tenterebbe, se non di opporsi al magnate americano, almeno di difendere i propri interessi e le proprie priorità? Dove andrebbe la Francia se nel 2027 finisse nelle mani di Marine Le Pen? La Spagna manterrebbe il suo europeismo se un’eventuale caduta di Pedro Sanchez portasse al potere un Alberto Núñez Feijóo dipendente dall’estrema destra pro-Trump di VOX?
Orbán, l’amico di Mosca che vuole essere l’amico di Trump a Washington, usa il suo veto per paralizzare tutto ciò che fa il blocco europeo e potrebbe cambiare con l’uscita dei democratici dalla Casa Bianca, soprattutto per quanto riguarda l’Ucraina. Per questo, la maggior parte degli altri leader europei è sempre più infastidita. Un esempio è lo stallo imposto da Orbán sulla disponibilità di 6,6 miliardi di euro che andrebbero a rimborsare i governi europei per il loro aiuto militare all’Ucraina. Un altro è il suo rifiuto di prolungare da 6 a 36 mesi la durata delle sanzioni alla Russia, come chiesto dagli Stati Uniti per partecipare al prestito di 50 miliardi di euro all’Ucraina, essenziale affinché l’economia ucraina non collassi in bancarotta.
Orbán ha dovuto subire due settimane fa un duro attacco retorico (perché la Commissione Europea non passa ai fatti, nonostante le dichiarazioni forti) dalla presidente Ursula Von der Leyen, che lo ha accusato davanti all’emiciclo del Parlamento Europeo a Strasburgo di dispotismo, di aver trafugato fondi europei, di guardare con favore a regimi dittatoriali come quello russo o cinese, invece che ai suoi partner europei. Ma Orbán resiste, perché spera nel ritorno di Donald Trump, sa che, con Trump, arriverà una nuova ondata di vento a favore dell’internazionale reazionaria che Orbán vuole guidare in Europa.
Il Parlamento Europeo, che nel 2016 era rimasto scioccato dalla vittoria di Donald Trump, è virato così tanto a destra dopo le elezioni del 2019 e del 2024 che non sarebbe sorprendente se un terzo o più dei deputati si rallegrasse per la vittoria del newyorkese. I gruppi dell’estrema destra, come i Patrioti d’Europa di Orbán e Marine Le Pen, stanno chiaramente dalla parte di Trump. Orbán ha già detto che stapperebbe “diverse bottiglie di champagne” per festeggiare un’eventuale vittoria del magnate. Nella famiglia della destra sovranista dell’Ecr, quella di Giorgia Meloni e dei polacchi del PiS, non c’è una posizione comune ufficiale, racconta una fonte interna. Ma, secondo la stessa fonte, la maggior parte applaudirà una vittoria di Trump.
E con questo terzo di deputati che il Partito Popolare Europeo sta costruendo sempre più spesso delle alleanze di circostanza. In una situazione simile, con Trump di nuovo presidente, il Partito Popolare Europeo manterrà alta la bandiera europeista o si lancerebbe nello scivolo del trumpismo? Fonti del gruppo assicurano che non c’è una posizione ufficiale, ma che la stragrande maggioranza dei suoi eurodeputati preferisce una vittoria di Kamala Harris.