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Chi segue Trump (e chi no) contro l’Iran

L'approfondimento di Lorenzo Bernardi sulle varie posizioni degli Stati nelle ultime ore sulla decisione degli Usa di sanzionare l'Iran

Mentre Donald Trump prosegue nel suo obiettivo di isolare l’Iran, il resto della comunità internazionale valuta come schierarsi. Da un lato alcuni colossi, come la francese Total, rinunciano a investire per non incappare nelle sanzioni. Dall’altro, l’Europa manifesta tramite Federica Mogherini la volontà di continuare il processo di normalizzazione dei rapporti con l’Iran. Infine, la Cina, pronta a sostenere apertamente la Repubblica islamica anche nel contesto della guerra commerciale con gli Stati Uniti.

LE SANZIONI AMERICANE

Negli scorsi mesi Trump ha deciso di recedere dall’accordo sul nucleare che Obama aveva firmato nel 2015 con l’Iran, che eliminava molte sanzioni economiche in cambio dello stop ai programmi atomici nella Repubblica sciita. L’inversione di marcia di Trump è stata motivata dall’establishment americano dal sostegno che l’Iran ha fornito, in Medio Oriente, al regime di Assad in Siria e ai ribelli sciiti in Yemen. Una decisione, quella di Trump, che ha visto Israele, preoccupato per lo sviluppo di un programma missilistico iraniano, esercitare una forte pressione su Washington.

La conseguenza della scelta di Trump sono state l’imposizione di nuove sanzioni economiche che puniscono le transazioni con l’Iran e bloccano l’importazione in Usa di alcuni prodotti. Alcune sono in vigore da agosto, altre dovrebbero seguire a novembre. Non solo: Trump ha esplicitamente avvertito che «chiunque faccia affari con Teheran ha chiuso con noi».

Il PASSO INDIETRO DI TOTAL

Minacce che hanno sortito effetti, almeno stando a quanto ha deciso il colosso energetico francese Total, che ha deciso di rinunciare alla realizzazione di un impianto di estrazione di gas naturale. Lo ha fatto per evitare sanzioni secondarie, che avrebbe subito in caso di mantenimento del progetto. Scelte simili stanno compiendo l’azienda di logistica Maersk, Peugeot, General Electric, Boeing e Siemens. Il Ministro del petrolio Bijan Namdar Zanghaneh ha dichiarato che il processo di sostituzione di Total con un’altra compagnia «è in corso», anche se alcuni analisti mettono in dubbio il fatto che ci siano molti altri soggetti in grado di affrontare un simile investimento, a maggior ragione col rischio di incappare nelle sanzioni. Il progetto iniziale, approvato lo scorso luglio, valeva 4,8 miliardi di dollari e prevedeva lo sviluppo dell’impianto estrattivo al largo della costa iraniana.

COME L’IRAN CERCA DI SEDURRE GLI STATI

L’Iran, insomma, rischia un isolamento e la destabilizzazione. La situazione economica è molto complicata, le tensioni interne stanno aumentando, il governo di Rohani viene percepito come distante e l’anno prossimo, in un clima politico molto probabilmente infuocato, ci saranno le elezioni. Anche per questo il governo sta cercando sponde: nella Russia, nella Cina, ma anche nell’Europa. Proprio per questo sta tentando di mettere pressione soprattutto su Parigi, Berlino e Bruxelles. «Gli europei e gli altri firmatari del patto (sul nucleare, ndr) stanno tentando di salvare l’accordo, ma il processo è troppo lento e andrebbe accelerato – ha dichiarato il portavoce del Ministro degli esteri Bahram Qasemi – L’Iran fa molto affidamento sulle proprie capacità di superare le nove sanzioni americane».

CHE COSA SI DICE IN EUROPA

L’Europa ha già espresso una posizione ufficiale contro Trump. L’ha fatto tramite la Rappresentante per la politica estera Federica Mogherini, che in una nota congiunta con i ministri degli esteri di Germania, Francia e Regno Unito ha espresso “ferma condanna” nei confronti della mossa di Trump. «L’accordo sta funzionando e sta realizzando il suo obiettivo, vale a dire assicurare che il programma iraniano rimanga esclusivamente pacifico, come confermato dall’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) in 11 relazioni consecutive» scrive Mogherini. Il punto è che per impedire all’Iran di non recedere dall’accordo, e dunque di non riprendere il programma nucleare, la Repubblica islamica deve vedersi garantiti benefici economici di cui al momento non sta beneficiando.

IL RUOLO DELLA CINA

Teheran, comunque, una sponda l’ha già trovata: Pechino. La Cina continua importare petrolio dall’Iran e, in aperto contrasto con Washington, sembra non aver alcuna intenzione di smettere, anzi, sta mobilitando la sua flotta cargo per spingere ancor di più. Non è un sostegno da poco, per la Repubblica sciita, considerato che il Dragone è il suo maggior “cliente”. Del resto la decisione non stupisce più di tanto: fra Stati Uniti e Cina è in corso una guerra commerciale giocata a colpi di dazi: ha cominciato Trump imponendone di pesantissimi sull’importazione di acciaio e alluminio, ha replicato Xi Jinping con misure analoghe.

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