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Giorgetti

Chi manganella (sui giornali) Giorgia Meloni

Che cosa si scrive e che cosa si sussurra (anche dal Quirinale) su Giorgia Meloni. I Graffi di Damato

 

La dannata attualità costringe anche la Repubblica di carta ad occuparsi della “bolletta bollente”, per dirla col manifesto, che il governo Draghi è chiamato a raffreddare trovando una decina di miliardi di euro senza aumentare il debito pubblico. E magari lasciandosi indicare le coperture dal segretario generale della Cgil Maurizio Landini, consultato intanto da solerti cronisti e convinto che basti spremere di più col fisco “le aziende energetiche, farmaceutiche e bancarie”, arricchitesi troppo negli ultimi tempi.

Resta tuttavia la Storia, con la maiuscola, a mobilitare in questa campagna elettorale la Repubblica – sempre quella di carta – contro “il cantiere sovranista” riproposto in prima pagina con un’immaginetta di Giorgia Meloni: “la predestinata”, come la chiama Concita De Gregorio lamentandone “gli illusionismi”, senza lasciarsi incantare, distrarre e quant’altro da segnali di sofferenza provenienti dall’interno dello stesso centrodestra. Dove, per esempio, Matteo Salvini ha appena ricordato alla sua pur alleata aspirante a Palazzo Chigi che le scelte del capo dello Stato, quando si tratterà di nominare dopo le elezioni il nuovo presidente del Consiglio, potrebbero rivelarsi meno scontate, o più discrezionali, del previsto o sperato dai cosiddetti fratelli d’Italia.

In un “retroscena” sul Corriere della Sera anche Marzio Breda ha avvertito che “per il Quirinale non esistono automatismi sull’incarico”. Egli ha spiegato, in particolare, che “tra i diversi fronti che Mattarella dovrà considerare procedendo alla nomina c’è pure la  cornice geopolitica e delle alleanze nelle quali l’Italia è inserita, essendo il capo dello Stato garante dei trattati internazionali”. Che peraltro contribuirono nel 2018 a  provocare il rifiuto proprio di Mattarella di nominare ministro dell’Economia un professore come Paolo Savona, propostogli da Conte ma da lui considerato troppo poco convinto della moneta unica europea.

Ma, al di là persino dei trattati internazionali evocati, a torto o a ragione, dal quirinalista del Corriere della Sera, e che la leader della destra italiana non contesta più, tanto da scavalcare in atlantismo, per esempio, partiti che ne sembravano fanatici, è la Storia -ripeto, con la maiuscola- che potrebbe giocare contro la Meloni alimentando la paura che suscita il fascismo nel centenario della sua affermazione. E così l’ex direttore di Repubblica, il produttivissimo Ezio Mauro, in tre pagine dell’ottava puntata della rievocazione della “marcia su Roma” dell’ottobre 1922 si occupa oggi dell’agosto di quell’anno, che sta per finire anche in questo nostro 2022. Un agosto nel quale “le camice nere prendono Milano”, racconta in un presente che vorrebbe essere di paura il mio amico Ezio. In effetti in quel mese a Milano accadde veramente di tutto nello scenario nero: assalto al giornale socialista Avanti, violenze per strada e assedio a Palazzo Marino, la sede del Comune.

Forse non sufficientemente ferrato negli studi storici come ritiene invece di essere in materia giuridica -debbono avere pensato a Repubblica– l’ex presidente del Consiglio e ora presidente solo del più modesto e malandato MoVimento 5 Stelle, Giuseppe Conte, ha appena cercato di spiegare al Corriere della Sera che “lo spauracchio del fascismo non ti fa vincere”. Lo “spauracchio”, ripeto, anche senza il permesso della titolatissima Repubblica.

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