Il professor Silvio Garattini, 90 anni, fondatore dell’Istituto Mario Negri, sostiene da tempo che «la metà dei farmaci è inutile, una pillola su due è inutile». Il motivo? «Di uno stesso principio attivo, esistono sul mercato decine di prodotti farmaceutici, che di diverso hanno solo l’etichetta. Tutto questo non serve per curare i malati, bensì per gonfiare i profitti delle aziende farmaceutiche». Un esempio? Una ricerca scientifica pubblicata dal British Medical Journal ha appurato che il 65% dei farmaci oncologici, solitamente tra i più costosi, non sono stati introdotti a beneficio dei malati, bensì per quello dei bilanci di Big Pharma.
Ma chi controllo questo mercato? In Italia, l’Aifa (Agenzia italiana del farmaco) ha il compito di stabilire il prezzo delle medicine che le aziende farmaceutiche vendono al Servizio sanitario nazionale. Un prezzo segreto, tale per una clausola imposta da Big Pharma agli Stati europei, così da rendere impossibile l’unificazione del prezzo dello stesso medicinale perfino nei paesi con la stessa moneta, l’euro. Al di sopra dell’Aifa, con un potere maggiore, c’è l’Ema, l’Agenzia europea per le medicine, trasferita da Londra ad Amsterdam dopo la Brexit: il suo compito è di autorizzare, o vietare, l’immissione sul mercato europeo di ogni singolo farmaco. Dunque, un potere decisivo enorme.
Purtroppo, si tratta di un potere circondato da ombre e sospetti inquietanti. Basti sapere che il budget 2020 dell’Ema, su un totale di 358 milioni di euro, è coperto per 307 milioni (84%) da contributi delle case farmaceutiche e appena per 51 milioni da fondi dell’Unione europea. Dati scovati e pubblicati da Mario Giordano nel suo bel libro (Sciacalli, virus, salute e soldi; Mondadori). Numeri che dimostrano come, nel settore farmaceutico Ue, il controllato (Big Pharma) controlli di fatto il controllore (Ema), e ne influenzi ogni singola decisione sui farmaci da immettere sul mercato europeo.
Grazie ai milioni versati, infatti, Big Pharma ha il privilegio di partecipare alle riunioni dell’Ema tramite un proprio avvocato. Per legge, le valutazioni dell’Ema su un nuovo farmaco devono basarsi su tre parametri: sicurezza, efficacia, qualità. Il che è il minimo.
Ma se un farmaco è il doppione di un altro precedente, è davvero necessario? Ebbene, questa domanda è inutile porla durante le riunioni dell’Ema. «Io ci ho provato», ha raccontato a Giordano un ex membro dell’Ema. «Alzavo la mano e chiedevo: siamo sicuri che questo nuovo farmaco sia necessario? Aggiunge qualcosa di nuovo? Cura meglio degli altri? Ogni volta l’avvocato delle aziende farmaceutiche, sempre presente alle sedute, mi bloccava: la legge non prevede questa valutazione». E ovviamente l’aveva vinta.
Non è dunque un caso se in venti anni l’Ema ha autorizzato 975 nuovi farmaci, mentre quelli bocciati ogni anno si contano sulle dita di una mano (cinque nel 2018). Con 36 amministratori e 890 dipendenti, l’Ema è un carrozzone europeo che ha fatto discutere più volte, soprattutto per la scarsa trasparenza. Nel 2018, causa Brexit, la sua sede è stata trasferita ad Amsterdam, che ebbe la meglio su Milano solo grazie a un sorteggio di cui, stranamente, furono smarriti i documenti. Ma qualche mese dopo, grazie a ItaliaOggi e a un mio articolo basato sulle e-mail di alcuni dipendenti Ema, si scoprì che Amsterdam aveva bluffato, in quanto non disponeva di una sede adeguata, mentre Milano aveva il Pirellone già pronto.
Ripensamenti? Contropiede del governo italiano? Zero. Così il comune di Amsterdam, con la connivenza dei burocrati di Bruxelles, ha avuto tutto il tempo per costruire una sede nuova di zecca in periferia, dove l’Ema si è trasferita con calma, ma a caro prezzo. L’Alta corte di giustizia inglese ha infatti condannato l’Agenzia Ue del farmaco a pagare fino al 2039 l’affitto che aveva stipulato per la sede di Londra con un primario gruppo immobiliare, il quale non ha voluto saperne di rescindere il contratto di leasing. E la stampa inglese ha quantificato il costo totale della sentenza per l’Ema tra 470 e 574 milioni di euro, somma di gran lunga superiore al suo budget annuale.
Per questo sarà davvero interessante scoprire, tra qualche tempo, da quale tasca usciranno i milioni per fare fronte alla condanna: se ne farà carico il bilancio Ue 2021-27, tuttora in discussione, oppure le aziende di Big Pharma, in cambio dei soliti favori? Mario Giordano ha calcolato che le prime dieci aziende farmaceutiche nel mondo fatturano 408 miliardi di euro l’anno, tre volte il prodotto interno dell’Ungheria, 250 volte il pil del Gambia. La risposta su chi pagherà, potete scommettere, verrà di conseguenza. Il che non toglie che la cuccagna farmaceutica europea continui a essere un problema politico molto serio, dove Big Pharma conta più degli Stati sovrani e della stessa Ue, così che i suoi profitti contano più della tutela della salute dei cittadini europei: questione resa ancora più urgente dalla pandemia Covid-19, ma ignorata colpevolmente da governi e giornaloni in tutta l’Unione europea.
Articolo pubblicato su ItaliaOggi