E il caso Verdini diventò subito per la sinistra giudiziaria, quella del no all’emendamento Costa e i suoi media, il “caso Salvini”. Il quotidiano la Repubblica, dopo aver insinuato che il premier Giorgia Meloni per aver contratto alcune volte un’influenza e adesso anche la “sindrome otolitica” non avrebbe una salute adatta per governare, ora si scaglia contro il vicepremier Matteo Salvini, leader della Lega, ministro di Infrastrutture-Trasporti. Tentativi di ritorno alla gogna, al frullatore del processo politico e mediatico sull’onda dell’arresto di Tommaso Verdini, imprenditore, figlio di Denis, che è a sua volta indagato nella stessa inchiesta sui rapporti tra Anas e la ditta del figlio.
Che c’entra Salvini? Per la gogna, per un’opposizione di Pd e Cinque Stelle ridotta “alla dimensione del rosicamento” (come ha scritto ieri Mario Sechi, direttore responsabile di Libero Quotidiano a proposito del titolo provocatorio su Meloni “uomo dell’anno“), un’opposizione che sbeffeggia a Montecitorio il vicepresidente (FI) Giorgio Mulè, in nome della battaglia di genere sugli appellativi, Salvini c’entra. Perché è il compagno di Francesca Verdini, sorella di Tommaso, e questo in sprezzo delle regole dello stato di diritto, secondo cui la responsabilità è sempre individuale e si è colpevoli solo al terzo grado di giudizio?
Ma Salvini per la gogna sempre issata a sinistra (grave problema della democrazia italiana da più di trent’anni) c’entrerebbe lo stesso anche perché in una intercettazione prontamente spiattellata viene fatto un nome di battesimo come il suo e il cognome di un sottosegretario della Lega. Cosa che se venisse approvato l’emendamento di Enrico Costa (Azione, di ferrea tradizione liberale, ex FI) non sarebbe stata possibile, seppur l’emendamento non vieti di pubblicare la notizia dell’arresto con le sue motivazioni. Ma non frammenti, spezzoni di intercettazioni così, sull’onda dei quali Salvini è stato prontamente chiamato a riferire in aula dai Cinque Stelle, che con Giuseppe Conte sembrano ormai avere in mano il boccino dei giochi a sinistra, e dal Pd, che li insegue.
Sulla base di pochi, frammentari elementi, spezzoni di intercettazioni riparte, dunque, il processo politico-mediatico. E anche la tempistica lascerebbe da pensare. A manovra approvata e senza voto di fiducia con una maggioranza di governo ben salda, a ratifica della riforma del Mes bocciata senza gli sfracelli paventati dalle opposizioni, non restava che il ritorno dell’ “opposizione giudiziaria”?
Torna in mente la denuncia fatta in Aula a Montecitorio dal ministro della Difesa Guido Crosetto (cofondatore di FdI) che aveva ravvisato proprio nell'”opposizione giudiziaria” l’unico eventuale “pericolo” per il governo Meloni, a fronte di un’opposizione divisa, priva di incisività politica. Ma la maggioranza fa quadrato e il gioco appare ormai davvero troppo logoro e scoperto.
Il segretario di Forza Italia, vicepremier e ministro degli Esteri, Antonio Tajani, di fronte alla richiesta che Salvini venga in Aula a riferire, interviene con tono duro e netto a difesa del collega, l’altro numero due di Meloni: “Ma che vogliono fare il processo in Aula a Salvini? Siamo garantisti. No a processi politici al ministro Salvini che deciderà quello che deve fare. Io sono garantista, perché una persona è colpevole soltanto quando è condannata nel terzo grado di giudizio. Lo sono con i signori Verdini e per chiunque altro”. Tajani poi ricorda: “Lo sono stato anche in passato nei casi della sanità umbra con il Pd, nel caso di Grillo. La responsabilità è sempre personale. Siamo la patria di Beccaria e quello che valeva per Berlusconi vale anche per gli altri. Inutile cercare di fare processi politici al ministro Salvini”. Aggiunge: “È una vicenda accaduta prima che diventasse ministro”.