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Nato Ue

Chi è più utile e più veloce tra Ue e Nato nel garantire i nuovi partner contro le aggressioni?

Nonostante la forte diversità degli obiettivi, prevalgono sempre di più, tra le due organizzazioni internazionali, necessità comuni che il regime di Putin ha evidenziato. L'intervento di Emilio Lonardo

 

L’ammissione come Paese candidato all’Unione Europea di Ucraina e Moldavia (tra non molto, sarà la volta anche della Georgia) ha visto una forte convinzione dei Paesi dell’Unione, assieme a delle rimostranze di altri Paesi ancora bloccati dopo anni. La richiesta dei tre Paesi è fortemente motivata dalla necessità di avere protezione dall’atteggiamento minaccioso della Federazione russa, che ha aggredito già la Georgia, privandola di una parte del proprio territorio, ha aggredito nel 2014 e sta nuovamente aggredendo con violenza inaudita l’Ucraina e che ha supportato, anche con proprie truppe, la costituzione di uno Stato nuovo, la Transnistra, in una regione orientale della Moldavia. Nessuno dei tre Paesi in questione è, al momento, membro della NATO.

Parallelamente – e con l’idea medesima di “disincentivare” l’atteggiamento minaccioso della Federazione russa con cui confinano – Finlandia e Svezia, che sono già membri dell’Unione Europea, hanno fatto richiesta di adesione alla NATO. In questa fase transitoria, il Regno Unito (che non è più nell’UE dal 1° gennaio 2021, ma rimane uno dei Paesi fondatori della NATO) appare assumersi, rispetto a possibili estensioni militari della crisi ucraina, un compito – del tutto non formalizzato – di tutela e coordinamento militare nei confronti dei due Paesi scandinavi.

Per quanto riguarda i tempi di adesione delle due organizzazioni sovranazionali, quelli di adesione alla UE appaiono molto lunghi, quelli di adesione alla NATO, meno lunghi, ma esposti al veto di un Paese membro: nel caso specifico di Finlandia e Svezia, la Turchia.

Obiettivi e modalità di adesione delle due organizzazioni internazionali sono parzialmente diversi. Al centro della costituzione dell’UE c’è l’obiettivo di una libera concorrenza tra i Paesi aderenti in un mercato economico unico delle merci e delle persone. Questa finalità di fondo comprende, nel percorso di adesione, l’adeguamento della legislazione del singolo Paese richiedente alle normative dell’Unione e la dimostrazione di essere un Paese che pratica le regole di fondo della democrazia politica. Su questo ultimo scoglio si sta arenando la richiesta di adesione di Albania, Macedonia del Nord e Montenegro, ma, soprattutto, appaiono compromesse quelle della Turchia di Erdogan e della Serbia.

Gli obiettivi fondanti della NATO sono di carattere politico e militare: promuovere i valori democratici e consentire ai Paesi membri di consultarsi e collaborare in materia di difesa e sicurezza per la risoluzione delle controversie e, nel lungo termine, prevenire i conflitti. In caso di fallimento degli sforzi diplomatici, ha il potere militare di intraprendere operazioni di gestione delle crisi. Tali operazioni devono essere condotte in base alla clausola di difesa collettiva presente nel trattato fondativo della NATO (Articolo 5) o dietro mandato delle Nazioni Unite, da soli o in collaborazione con altre organizzazioni internazionali.

Eppure, nonostante la forte diversità degli obiettivi, prevalgono sempre di più, tra le due organizzazioni internazionali, necessità comuni che il regime di Putin ha evidenziato: 1. La omogenea connotazione politica democratico-liberale dei Paesi aderenti; 2. La solidarietà reciproca nella propria difesa militare (esplicita nella NATO, implicita – ma evidente – nella UE).

Se l’Unione Europea non fa chiarezza su queste sovrapposizioni e sul proprio futuro politico, rischia, però, di condurre una gara, alla lunga, perdente dal punto di vista politico: l’adesione alla UE comporta tempi più lunghi che quella alla NATO; non dà un vantaggio di difesa militare esplicito; non ha la portata geopolitica ampia che ha l’adesione alla NATO, intrecciata, tramite il partner USA, al patto AUKUS (tra USA, Australia e Regno Unito) e al partenariato QUAD, che comprende – oltre agli Stati Uniti – Australia, Giappone e India (con un sempre maggiore coinvolgimento di Corea del Sud, Vietnam e Indonesia), con l’obiettivo di contenere l’azione politica e (potenzialmente) militare della Cina. In un mondo sempre più piccolo e veloce, quindi, la UE presenta alcuni svantaggi rispetto all’azione, più esplicitamente politica e – se occorre – militare, della NATO.

Guardando all’esperienza di questi ultimi mesi, determinata dalla ripresa ossessiva di attacchi e minacce da parte della Federazione russa e dalla necessità di tutelare in chiave anche politica e militare altri Paesi europei, qualche innovazione l’UE la deve pur fare. In un periodo di crisi geopolitica grave, l’UE ha lavorato bene, con molta coesione e una certa rapidità.

Bisognerebbe, però, correre ai ripari rispetto a certi meccanismi di partecipazione degli Stati all’Unione e di definizione strategica del proprio fine. Partiamo dai primi.

L’Albania fa bene a lamentarsi per i tempi di adesione. E così dovrebbe fare anche l’Ucraina, che ha bisogno di tutela militare come economica, con la ricostruzione che prima o poi si dovrà fare. Parliamo delle regole di adesione e della loro interpretazione. Per l’Albania esiste un problema non piccolo del suo sistema politico, scarsamente democratico-liberale e con una politica tra le più corrotte. Concentrarsi su questo nel dialogo con l’Albania, potrebbe portare in fretta all’UE un partner, piccolo ma importante, e molto vicino, geograficamente e storicamente, all’Italia. La grande attenzione dell’UE alla presenza di criteri di democrazia sostanziale al momento dell’adesione, poi, deve implicare regole gestibili anche rispetto alla perdita di quei requisiti ad adesione avvenuta. Per intenderci, ci deve essere anche un modo per minacciare di “buttar fuori” dall’UE un partner sempre meno democratico (e sempre più filo Putin) come l’Ungheria di Orban.

Per quanto riguarda la definizione strategica delle proprie finalità, l’Europa deve banalmente – e in fretta – passare da una tradizione legata specificamente alla libera circolazione e al mercato a una prospettiva del tutto politica: fare gli Stati Uniti d’Europa, con autonomie ampie a livello di singoli Stati, ma con un potere centrale comune in materia di politica ambientale (e di approvvigionamento delle risorse primarie), fiscale, estera e di difesa. E, aggiungo, smantellando (diciamo, con “savoir faire”, rigenerando) una burocrazia poco efficiente, molto autocentrata e disattenta agli effetti concreti delle proprie politiche piuttosto che ai “compitini” ben fatti e a volte poco utili degli Stati membri e delle loro regioni.

Questa Europa sarà un partner paritario e credibile agli occhi degli altri Paesi del mondo libero, un partner forte della NATO nell’area atlantica, un grande Paese coinvolto nelle politiche dell’area indo-pacifica e un possibile riferimento per pezzi del grande continente africano, che va aiutato nella sua crescita economica e nell’affermazione della democrazia politica.

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