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Chi critica e perché le idee di Harris su prezzi e non solo

Reazioni e commenti ai primi punti del programma economico di Kamala Harris

Non c’è solo il prospettato aumento delle tasse aziendali ad attirare critiche e perplessità sull’agenda economica di Kamala Harris già battezzata da qualcuno Kamalanomics. C’è un’altra misura, peraltro non chiarita nei dettagli, a rendere controversi i piani della vicepresidente e sono gli annunciati controlli sui prezzi dei generi alimentari per contrastare il fenomeno del cosiddetto price gouging. Ecco il piano e i dubbi avanzati da alcuni esperti americani.

Il piano.

Il piano di Harris è stato solo parzialmente chiarito con un documento rilasciato venerdì durante la sua campagna elettorale. Nel testo si spiega che un’eventuale amministrazione a guida democratica lavorerebbe in tandem col Congresso per “far avanzare il primo divieto federale mai emesso sui rincari del cibo, dei generi alimentari”.

Si tratta, viene anticipato, di “stabilire chiare regole che chiariscano che le grandi aziende non possono sfruttare ingiustamente i consumatori accumulando eccessivi profitti sul cibo e i generi alimentari”.

Senza entrare di nuovo nello specifico, il documento rivela che il nuovo esecutivo guidato dall’attuale vicepresidente cercherebbe di fare in modo che siano affidati nuovi poteri alla Commissione Federale sul Commercio e ai Procuratori generali “per indagare e imporre nuove e stringenti penalità alle aziende che violino le regole”.

Harris stessa ha accennato al disegno venerdì quando ha sottolineato che “molte delle grandi aziende alimentari stanno conoscendo i loro più alti profitti degli ultimi vent’anni”. Pur ammettendo che molte imprese si comportano secondo le regole, altre, ha sottolineato, “non lo stanno facendo, e questo non è giusto”.

L’obiezione del docente.

La proposta del ticket Harris-Walz si è attirata una valanga di critiche, in particolare da economisti ed esperti di business, convergenti nel ritenere addirittura controproducenti le misure annunciate sul price gouging.

Parlando con Fox Business, il professore associato di Economia dell’Università di New Haven Patrick Gourley si è detto “molto perplesso” soprattutto sulla mancanza di chiarezza del piano.

Per Gourley anzitutto non esiste nemmeno una definizione ufficiale di price gouging, e a risaltare è la conseguente arbitrarietà di chi dovrebbe decidere se si è in presenza di questo fenomeno e come funzionerà, tutte cose che per il docente sono “estremamente preoccupanti”.

“In generale”, spiega Gourley, “il governo non dovrebbe occuparsi di abbassare i prezzi”, che si muovono non per caso ma sempre “per una ragione”.

Ci sono naturalmente le eccezioni che confermano la regola, argomenta l’economista ricordando l’importanza di un intervento dello Stato in casi come il dopo 11 settembre 2001 quando il prezzo della benzina andò alle stelle. Ma in linea di massima non ci dovrebbe mai essere un’interferenza governativa quando aumentano i prezzi perché ciò segnala semplicemente quel che sta succedendo nel mercato, ossia una domanda molto forte di un determinato bene.

Non funzionano.

Fox Business raccoglie anche la netta opposizione del presidente e Ceo di Mahoney Asset Management Ken Mahoney, per il quale i controlli sui prezzi semplicemente non funzionano.

Al contrario, fa notare il presidente, essi potrebbero generare un impatto avverso come avvenne al tempo del Covid, “quando la gente prese ad accumulare le cose rendendo la situazione peggiore”.

Mahoney osserva ancora che i negozi di generi alimentari hanno di norma solo piccoli margini di profitto se raffrontati a quelli di altri comparti economici, e pertanto quei margini potrebbero restringersi ulteriormente in caso di intervento governativo.

La perplessità del capo economista di Moody’s Analytics 

Anche il capo economista di Moody’s Analytics Mark Zandi mette nero su bianco il proprio scetticismo, ricordando a Cbs MoneyWatch che le cause di un problema pur oggettivo come l’inflazione sono complesse.

“Ci sono numerose ragioni – argomenta Zandi – dietro l’alta inflazione che abbiamo sofferto negli ultimi anni, ma pratiche di incremento aggressivo o scorretto dei prezzi sono in fondo alla lista di queste ragioni o magari non c’entrano niente”.

“Il problema poteva forse sussistere”, continua il capo economista, “quando la pandemia disaggregò le nostre catene di approvvigionament,o ma oggi è difficile notare qualsiasi esempio significativo di price gouging”.

I dubbi del think thank conservatore.

Cbs MoneyWatch stana anche il direttore degli studi di Politica economica dell’American Enterprise Institute Michael Strain per il quale non c’è nulla di anormale nell’aumento dei prezzi che rappresenta “per lo più un risultato del mercato”

E sebbene Strain ammetta che “probabilmente alcune imprese hanno incrementato l’attitudine ad aumentare i prezzi, non vedo niente che stia succedendo che potrei descrivere con l’espressione price gouging”.

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