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Coalizione Usa Anti Houthi

Chi c’è e chi non c’è nella coalizione Usa anti Houthi

Presenze e assenze nella coalizione Usa anti Houthi

C’è anche una nave italiana nel dispositivo che su iniziativa degli Usa sta per schierarsi nel Mar Rosso per contrastare le ripetute incursioni dei ribelli Houthi dello Yemen contro i cargo e le petroliere in arrivo da o diretti verso Suez.

Ecco tutti i dettagli, inclusi i dubbi e le reticenze di alcuni degli stessi partecipanti, dell’operazione Prosperity Guardian lanciata martedì dal capo del Pentagono Austin.

LA MINACCIA HOUTHI

La minaccia Houthi nel Mar Rosso è evidenziata dai dati di Ambrey Analytics citati da Axios secondo cui tra il 19 novembre e il 18 dicembre in quelle acque si sono verificati 37 attacchi a navi cargo per lo più concentrati nell’area dello Stretto di Bab el-Mandeb.

Come osserva il New York Times, questa ondata ha già indotto alcune compagnie di navigazione ad abbandonare quella tratta optando per rotte più lunghe, con l’ovvia conseguenza di rincarare i costi e danneggiare una già flebile economia globale.

IL NODO SUEZ

Tagliare fuori Suez significa di fatto rinunciare a una arteria vitale da cui, sin dall’apertura del canale nel 1869, transitano le merci e il petrolio dall’Asia e il Medio Oriente verso l’Europa e gli Stati Uniti.

Come ha spiegato al Nyt Chris Rogers, capo della ricerca sulle supply chain presso S&P Global Market Intelligence, sulla cinquantina di navi che passano ogni giorno per Suez ben 32 risultavano aver cambiato rotta tre giorni fa.

LE DICHIARAZIONI DI AUSTIN

È alla luce di tutto ciò che il segretario alla Difesa Usa ha lanciato martedì con una dichiarazione l’operazione Prosperity Guardian con cui affrontare, parole sue, “la recente escalation dei temerari attacchi degli houthi che originano dallo Yemen e minacciano i liberi flussi commerciali, mettono in pericolo la vita di marinai innocenti e violano la legge internazionale”.


CHI C’È

L’operazione, ha rivelato il n. 1 del Pentagono, mette insieme le forze dei Paesi che hanno aderito, ossia Regno Unito, Bahrein, Francia, Italia, Paesi Bassi, Norvegia, Seichelles e Spagna.

Ma sarebbero in realtà 19 le nazioni a bordo di Prosperity Guardian secondo la reporter di Politico Lara Seligman che su X confida l’indiscrezione fattale da un alto esponente dell’amministrazione Biden secondo cui quei partecipanti non menzionati nel comunicato preferiscono che la loro presenza sia passata sotto silenzio.

Sono infatti 43 i Paesi che hanno partecipato alla ministeriale della Difesa convocata l’altro ieri da Austin per discutere dell’operazione e del suo auspicato allargamento:

IN COSA CONSISTE

Come ha precisato lo stesso Austin, questa iniziativa multinazionale di sicurezza opererà “sotto l’ombrello delle Combined Maritime Forces (CMF) e la leadership della sua Task Force 153”.

Il sito di Defense News precisa che CMF è una partnership marittima multinazionale che gli Usa guidano dalla grande base della V Flotta ubicata in Bahrein. Vanta 39 membri anche europei e Nato e schiera varie task force che pattugliano snodi strategici come il Golfo di Oman, l’Oceano Indiano, il Golfo Persico e il Mar Rosso che è la zona assegnata specificatamente alla Task Force 153 istituita nel 2022 per contrastare il contrabbando di armi, droga e carbone e il traffico di esseri umani.

IL CONTRIBUTO DELLA GRAN BRETAGNA

Il Ministero della Difesa di Londra, ricorda Defense News, ha annunciato il 19 dicembre che il contributo della Royal Navy consisterà nello spostamento nella zona delle operazioni dell’incrociatore HMS Diamond, che risulta già sul posto.


Il Diamond è stato già coinvolto in un’azione cinetica con cui ha abbattuto un drone diretto verso una nave commerciale in quella che è stata la prima volta dai giorni della Guerra del Golfo del 1991 in cui la Marina di sua Maestà ha neutralizzato un target aereo.

LA FRANCIA

Come riporta ancora il sito di notizie militari, Parigi partecipa all’operazione con la fregata Languedoc che sin dallo scorso 8 dicembre sta pattugliando il Golfo di Aden e l’area meridionale del Mar Rosso.

Qui già due giorni dopo la Lamguedoc ha abbattuto due droni partiti dallo Yemen con chiari intenti ostili, per poi abbatterne l’11 dicembre un terzo che era diretto verso una petroliera norvegese cui successivamente la nave francese si è avvicinata per impedirne il dirottamento.

Ma, in un articolo in cui evidenziava dubbi e reticenze degli alleati coinvolti nell’operazione, Reuters ha precisato che Parigi non ha schierato alcuna nave perché la Languedoc era già nell’area e non è previsto alcun invio di forze navali aggiuntive, con l’aggiunta che il comando della Languedoc resta saldamente in mani francesi.

ANCHE L’ITALIA

Anche il nostro Paese ha aderito dopo la discussione intrattenuta in videoconferenza da Austin con il collega Crosetto avvenuta martedì.

Con una dichiarazione rilasciata subito dopo, il titolare della Difesa ha annunciato l’invio nel Mar Rosso della fregata Virginio Fasan affinché l’Italia faccia la sua parte nel contrastare “la destabilizzante attività terroristica” degli Houthi.

Ma, come hanno presto precisato i media italiani e anche Reuters, il dispositivo italiano non fa parte in realtà dell’operazione Prosperity Guardian ma è riconducibile a una missione già in essere.

MISTERO SPAGNOLO

Nonostante il suo nome sia presente nell’elenco dei Paesi che partecipano all’operazione fornito nel comunicato ufficiale del Pentagono, la Spagna ha fatto sapere attraverso il suo Ministero della Difesa che “non parteciperemo unilateralmente all’operazione nel Mar Rosso” riservandosi di prendere parte solo a missioni guidate dalla Nato o coordinate dall’Ue.

E I PAESI ARABI?

Se si fa eccezione per il Bahrein, spicca l’assenza di attori arabi e in particolare di quell’Egitto che vede messi in pericolo i circa 10 miliardi di dollari che il Cairo ottiene ogni anno dai diritti di passaggio delle navi a Suez.

Vi sono pochi dubbi sul fatto che nessuno dei 22 Stati arabi si sia voluto associare a un’operazione varata anche per difendere gli interessi di Israele.

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