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Golden Power

Che cosa unirà (e che cosa dividerà) M5s e Pd. Report Istituto Cattaneo

Su diritti civili e tematiche sociali (aborto, diritti Lgbt, eutanasia ecc.), il M5s ha posizioni più vicine a quelle di Pd e Leu. Diverse le impostazioni sull'Europa. L'analisi a cura di Marco Valbruzzi per l'Istituto Carlo Cattaneo

 

Esiste una possibilità di convergenza tra M5s e Pd, ma su quali tematiche? Il M5s ha riacquisito centralità grazie alla sua posizione “mediana” nello spazio politico Il successo di Salvini deriva dalla trasversalità del suo sostegno elettorale.

Con la caduta del governo guidato da Giuseppe Conte si sono aperti due principali scenari politici. Il primo prevede il voto anticipato, con la necessità di riportare il paese alle urne entro il 2019 oppure nei primi mesi dell’anno prossimo. Il secondo scenario contempla, invece, la possibilità di dar vita a una nuova maggioranza di governo che faccia ancora perno sul Movimento 5 stelle (M5s), ma cambiando in corso di legislatura il partner dell’alleanza.

All’interno di questo quadro generale in continua evoluzione, diventa interessante cercare di capire se esistono, e su quali basi, margini di convergenza programmatica tra i principali partiti e, in secondo luogo, quali potrebbero essere le conseguenze sul consenso alle diverse forze politiche.

Per rispondere a questi interrogativi, l’Istituto Cattaneo ha analizzato i programmi elettorali elaborati dai partiti per le elezioni del 4 marzo 2018, provando a individuare quali maggioranze di governo si potrebbero formare sulla base della compatibilità ideologica tra gli attori in campo e, ovviamente, della loro consistenza parlamentare.

In secondo luogo, oltre alle affinità derivanti dai programmi politici, abbiamo esaminato la configurazione dell’elettorato italiano per valutare quanto gli elettori dei diversi partiti siano «vicini» o compatibili tra loro e, quindi, disponibili ad accettare un’alleanza di governo diversa rispetto a quella tra M5s e Lega. Saranno dunque questi due interrogativi di fondo a cui cercheremo di rispondere con questo report.

1. Introduzione: breve cronaca di una crisi balneare

Il governo guidato da Giuseppe Conte, formato da Movimento 5 stelle e Lega, è durato in carica 445 giorni, con le dimissioni formali rassegnate dal presidente del Consiglio lo scorso 20 agosto. L’esecutivo gialloverde, il 20° per durata nella storia repubblicana, ha iniziato a mostrare segni di instabilità soprattutto all’indomani dell’elezioni europee, con la vittoria della Lega e il dimezzamento dei consensi per il M5s. L’escalation della crisi di governo è iniziata, però, nei primi giorni di agosto, con la divisione della maggioranza sulla questione Tav (7 agosto) e la successiva presentazione della mozione di sfiducia da parte della Lega (10 agosto), peraltro senza ritirare i propri rappresentati dall’esecutivo in carica.

Fig. 1. Le tappe della crisi del governo Conte

Con le dimissioni del premier Conte e la formalizzazione della crisi di governo, si sono riaperte le negoziazioni tra i partiti per vagliare le possibilità di formazione di un nuovo esecutivo sotto la regia del presidente della Repubblica, il quale ha imposto tempi relativamente stretti per il confronto tra i partiti. Se nel corso del suo mandato il governo Conte ha assistito all’acquisizione di una progressiva centralità del partito di Salvini, con l’apertura della crisi è stato il Movimento 5 stelle – forte della sua maggioranza relativa in parlamento – a riconquistare il centro della scena. Infatti, i destini della XIII legislatura dipendono in larga misura dalle decisioni che prenderà il partito di Di Maio: tentare un’apertura a sinistra verso il Partito democratico per la formazione di un nuovo governo oppure accettare l’ipotesi, fortemente ricercata dalla Lega, di riportare il paese anticipatamente alle elezioni.

2. Il M5s di nuovo al “centro” del sistema: perno per un nuovo governo

Questa riacquisita centralità del M5s, alla quale rimanda l’immagine dei “due forni” tornata in auge nelle ultime settimane, deriva non solo dalla forza dei numeri parlamentari in mano ai pentastellati, ma anche dalla sua peculiare posizione nello spazio politico italiano.

Come avevamo messo in evidenza già prima del voto del 4 marzo 2018, il M5s è il partito “mediano” nel sistema partitico emerso delle ultime elezioni politiche, trovandosi dunque in una posizione centrale su molte delle dimensioni sulle quali si sta svolgendo il confronto politico tra i partiti. È dunque da questa “centralità programmatica” che proviene la centralità politica dei cinquestelle, che rappresentano lo snodo fondamentale per la formazione di qualsiasi formula governativa, sia verso destra che verso sinistra.

Il “Contratto di governo” stipulato da Lega e M5s era stato favorito dalla decisione dei due partiti contraenti di concentrarsi sulle tematiche in comune (euroscetticismo e interventismo economico su alcune misure sociali: “quota 100” e “reddito di cittadinanza”), tralasciando volontariamente quelle dov’erano maggiori le distanze tra le due forze politiche, a cominciare dagli aspetti legati ai diritti civili. L’equilibrio di policy individuato dal “contratto” ha iniziato a incrinarsi soprattutto con la progressiva diluizione dell’atteggiamento euroscettico da parte del M5s, che è sfociata formalmente nella decisione di sostenere la candidatura di Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione europea.

Quella decisione ha allontanato le posizioni dei due partiti di governo proprio su uno dei pilastri principali attorno ai quali era stata costruita l’insolita maggioranza gialloverde, cioè la lotta contro l’establishment europeo. Venuto meno quel terreno di incontro, sono esplose le tensioni e le contraddizioni all’interno del governo Conte.

Come mostra la figura 2, che riporta le posizioni dei partiti ricavate dell’analisi dei programmi elettorali svolta dall’Istituto Cattaneo su tre dimensioni di competizione politica, la tematica europea era l’unica sulla quale esisteva una effettiva possibilità di convergenza tra la Lega e il Movimento 5 stelle.

Al contrario, sul tradizionale asse sinistra-destra e su quello riguardante i diritti civili o tematiche sociali (aborto, diritti LGBT, eutanasia ecc.), il M5s ha posizioni politiche più vicine a quelle del Partito democratico e di Leu.

Fig. 2. Posizione dei partiti in tre dimensioni di competizione politica sulla base dell’analisi dei programmi elettorali del 2018

In base alle proposte programmatiche elaborate dai partiti per le elezioni del 2018, esiste dunque un’ampia area di convergenza sulle politiche tra i cinquestelle e il Pd. Un’area, peraltro, maggiore rispetto a quella che, quattordici mesi fa, ha favorito il formarsi della maggioranza gialloverde.

Nella figura 3 abbiamo rappresentato lo spazio politico italiano incrociando le tre diverse dimensioni di competizione partitica indicate in precedenza. Come si può notare, sulla base dei programmi elettorali presentati nel 2018, le distanze maggiori tra Pd e M5s restano sul ruolo dell’Unione europea e sulla necessità di approfondire o rallentare il processo di integrazione sovranazionale.

Tuttavia, con il sostegno del M5s a von der Leyen alla Commissione europea, è prevedibile che la carica euroscettica dei cinquestelle si sia fortemente ridotta, rendendo possibile un avvicinamento con le posizioni europeiste del Pd.

Per quanto riguarda, invece, la dimensione socio-culturale, già nel 2018 le piattaforme programmatiche del M5s e del Pd erano piuttosto vicine, con sovrapposizione su diverse tematiche legate soprattutto alle questioni della cittadinanza (ius soli) e della tutela verso determinate minoranze.

È vero che, con l’esperienza di governo e l’influenza determinante della Lega su materie rilevanti come la sicurezza e l’immigrazione, la posizioni del M5s è parzialmente slittata verso il polo conservatore. Ciò nonostante, il riferimento alle proposte contenute nel programma con cui i cinquestelle si sono presentati agli elettori nel 2018 può aiutare una riconversione del partito di Di Maio in una direzione più favorevole al Pd. Da ultimo, in ambito economico – cioè nel tradizionale asse di competizione politica tra sinistra (più tasse, più servizi, più intervento pubblico) e destra (meno tasse, meno servizi, meno interventismo statale) – le posizioni del M5s presentano già molti elementi di convergenza con il Pd su specifiche politiche pubbliche, in particolare su quelle di carattere redistributivo o di protezione a favore di determinate categorie di lavoratori (salario minimo, reddito di inclusione ecc.).

Fig. 3. Lo spazio politico italiano sulle base dei programmi elettorali del 2018

Ovviamente, le possibilità di successo nelle negoziazioni tra i partiti per la formazione di una maggioranza governativa non dipendono esclusivamente dalle posizioni programmatiche delle diverse forze politiche. Esistono almeno altri quattro elementi che possono condizionare negativamente le possibilità di una convergenza tra i partiti.

Innanzitutto, contano e pesano i rapporti personali tra i principali esponenti dei partiti e, più nello specifico, l’esistenza di veti incrociati riguardanti alcune personalità. In secondo luogo, vanno tenute in considerazione le divisioni interne alle forze politiche tra diverse aree o correnti.

L’efficacia delle negoziazioni dipende, infatti, anche dalla capacità dei singoli partiti di presentare proposte comuni sostenute in maniera compatta dalla dirigenza interna. In terzo luogo, nella trattativa per la formazione di un nuovo governo pesano tematiche latenti o semplicemente assenti nei programmi dei partiti al momento delle elezioni e che invece diventano importanti al momento della trattativa.

Allo stesso modo, va tenuto conto della presenza, in alcune forze politiche, di un orientamento anti-sistema che potrebbe spostare il confronto tra i partiti più su un piano politico che non su un terreno di politiche pubbliche.

(qui la ricerca integrale)

 

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