Sorpreso dalla rottura in diretta mondiale fra Trump e Zelensky?
Non sono affatto sorpreso. Trump e Zelensky erano da molto in rotta di collisione, era solo questione di tempo prima che accadesse qualcosa del tipo di quello a cui abbiamo assistito.
Perché?
Trump non ha mai avuto e non ha ora alcuna intenzione di trascinare il suo paese in ancora un altro conflitto, mentre il coinvolgimento diretto degli Stati Uniti nel conflitto è considerato da Zelensky come un qualcosa di indispensabile per raggiungere quella sconfitta della Federazione Russa che costituisce il suo obiettivo ultimo. Inoltre, per Trump, la consistente riduzione del prezzo degli idrocarburi su scala globale, legata inevitabilmente a una normalizzazione delle relazioni con la Federazione Russa, è fondamentale per combattere l’inflazione.
Ma perché umiliare davanti al mondo il presidente di uno Stato aggredito dalla Russia e difeso da Usa, Nato, Regno Unito e Ue?
Nessuna umiliazione. Piuttosto, Zelensky ha dimostrato, ancora una volta, quanto sia inadeguato in questo tipo di circostanze. In diretta, dopo aver inutilmente cercato di rinegoziare in termini strategici un accordo che era stato convenuto avrebbe avuto un contenuto esclusivamente economico, ha cercato una via di uscita per non firmare tale accordo attaccando direttamente il vicepresidente Vance nel momento preciso in cui quest’ultimo si era messo a spiegare che è arrivato il momento di privilegiare la diplomazia alle armi, rifiutando così l’opportunità, sostenuta da Trump, di trattare un cessate il fuoco con Putin.
“Alla Casa Bianca c’è un presidente jacksoniano che incarna una rottura netta con gli ultimi cento e passa anni di storia americana”, ha scritto il professor Germano Dottori. Condivide? E perché?
Condivido in pieno. Trump ha molto in comune con un Old Hickory che fin dal suo primo arrivo alla Casa Bianca ha sempre preso a modello. Come Trump, Jackson divenne presidente pur non facendo parte dell’élite politica washingtoniana. Come Trump, Jackson fu eletto cavalcando un’insurrezione popolare volta alla conquista di maggiori opportunità per la gente comune. Come Jackson, Trump si distingue per un’invincibile tenacia. Tutte e due sono sostenitori di un conservatorismo nazionalista che diffida di ogni intellettualismo e privilegia gli interessi di una comunità ristretta a un insieme di individui che condividono lo stesso stile di vita, che rifiuta ogni multiculturalismo e che è completamente scevro dall’idea di usare le risorse umane e materiali degli Stati Uniti a vantaggio di un qualche ordine mondiale.
Ma cosa si aspetta davvero Trump da Zelensky?
A questo punto che si ritiri. Zelensky ha spazientito Trump da una parte per via di una sua sempre più evidente tendenza a manipolare i suoi interlocutori e dall’altra per il suo rifiuto di chiudere adesso, prima possibile, in un modo oppure nell’altro, un conflitto secondo Trump inutile dannoso per tutti che, in più, ha potuto combattere solo grazie all’aiuto statunitense.
E perché i riflettori Usa sono puntati su quello che deve fare l’Ucraina e non su quello che dovrebbe fare – o meglio non fare – la Russia?
Perché l’Ucraina sta perdendo la guerra e la Federazione Russa la sta vincendo. Inoltre perché Trump, proprio perché Jacksoniano, come larghi settori dell’opinione pubblica, in particolare dell’elettorato che ha riaperto a Trump le porte della Casa Bianca, non riesce proprio a percepire nella Federazione Russa un avversario, tanto meno un nemico. Secondo questo punto di vista non è la Federazione Russa ad avvelenare centinaia di migliaia di americani con il Fentanyl. Non è la Federazione Russa a lasciare senza lavoro centinaia di migliaia di americani riversando all’interno del paese grandi quantità di merci sottocosto. Non è la Federazione Russa a far precipitare il mondo nel caos rilasciando accidentalmente un virus mortale.
Qual è la vera strategia a lungo termine degli Stati Uniti con Trump su Nato e Ue?
Nessuna vera strategia. Trump crede che sebbene gli Stati Uniti siano spesso ben rappresentati al loro interno, la semplice esistenza di tutte le organizzazioni e le istituzioni internazionali non sia semplicemente nell’interesse degli Stati Uniti. Ne consegue che se non è possibile estinguerli, gli Stati Uniti devono almeno emanciparsi da tali organismi. Trump cercherà quindi di mantenere e, se possibile, aumentare, la capacità degli Stati Uniti di operare indipendentemente dalle altre nazioni.
L’amministrazione Trump sarà più isolazionista o più imperialista?
Nessuna delle due. Non sarà isolazionista, tra l’altro gli Stati Uniti non lo sono mai stati isolazionisti. L’isolazionismo statunitense del secolo scorso fu tale solo nei confronti delle questioni europee. Non sarà imperialista perché focalizzata principalmente sugli affari interni statunitensi e su di un estero vicino percepito come sotto pressione da parte di entità sempre più lontane dai propri valori e dai propri interessi, come la Comunità Europea nel caso della Groenlandia, della Repubblica Popolare Cinese nel caso di Panama. L’amministrazione Trump sarà reattiva, cercherà di riversare ogni tentativo da parte di ogni altro attore internazionale di danneggiare gli interessi diretti di una comunità che inizia con la famiglia e che si estende fino ad abbracciare l’intera Nazione ma si ferma lì.
Il Deep State in America è allineato ben poco – mi pare – con l’amministrazione Trump. O mi sbaglio?
Vero, ma questa volta Trump è arrivato alla presidenza più che preparato, forte degli strumenti necessari per assumere quel pieno controllo sulle burocrazie federali che gli è garantito dalla Costituzione. Il Deep State che gli ha efficacemente compromesso l’operato durante la sua prima amministrazione sembra destinato a essere un ricordo.