“Mi batterò contro la riforma, ma non contro Meloni…Non mi cimenterò in battaglie politiche, che lascerò ad altri, anche perché se al referendum vincesse il no, non ci sarebbe nessuna ripercussione sul governo”. Lo ha detto al Foglio Nicola Gratteri, mancato ministro della Giustizia con Matteo Renzi, la cui proposta di nomina fu bocciata dall’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano trattandosi di un magistrato ancora in servizio. Ora egli è il capo della Procura della Repubblica di Napoli, ma soprattutto, in questo percorso referendario, un testimonial, se non il testimonial della campagna del no al referendum sulla riforma costituzionale sulla giustizia. Che pur contiene quel sorteggio anticorrentizio per la composizione del Consiglio Superiore della Magistratura, da dividere in due come le carriere dei giudici e dei pubblici ministeri. Cui invece egli è contrario per risparmiare ai cittadini dei pubblici ministeri, com’è anche lui, ancora più forti di oggi, sostiene Gratteri con inconsapevole autocritica.
Più delle contraddizioni in cui finisce di incorrere come lui, al pari di quanti in passato sono stati sostenitori della separazione delle carriere giudiziarie e ora non più, colpisce della posizione di Gratteri l’effetto di gelata sul Pd di Elly Schlein. Che è stato appena accusato dal non sospettabile Claudio Petruccioli – suo elettore dichiarato pur sempre più a corto, ha ammesso, di ragioni per motivarsi- di cavalcare il referendum sulla giustizia come una spallata al governo di centrodestra. Che, ripeto, secondo Gratteri sopravviverebbe anche ad una sconfitta referendaria. Il presidente del Senato Ignazio La Russa ripeterebbe quello che si è lasciato scappare sulla separazione delle carriere parlandone nella buvette di Palazzo Madama e chiedendosi se il gioco valesse la candela”. O “il candelabro”, ha cercato poi di scherzarci sopra il ministro della Giustizia Carlo Nordio.
La partita referendaria nello scenario descritto da Gratteri rischia di concludersi per il Pd peggio ancora di quella altrettanto rumorosamente ingaggiata 40 anni fa dal progenitore Pci. Che usò, anzi impose alla Cgil un referendum abrogativo dei tagli pur antinflazionistici apportati alla scala mobile dei salari dal governo di Bettino Craxi volendone denunciare e sconfiggere la stessa prepotenza oggi rimproverata da sinistra al governo Meloni in tema di giustizia. Allora il Pci perse clamorosamente, entrando in una crisi dalla quale non si sarebbe più ripreso, per avere perduto numericamente. Adesso il Pd rischia -parola, ripeto, dell’insospettabile Gratteri- di mancare la spallata al governo pur vincendo con i no alla riforma.
Più sfigata di così, dico con la licenza dell’ironia, non potrebbe essere il Pd della Schlein. E pure gli altri che gli stanno andando appresso in questa partita, o ai quali è stata la Schlein ad andare appresso per non perdere, per esempio, il contatto con Giuseppe Conte. Il cui partito ancora delle 5 Stelle è il più allineato, o il più subordinato politicamente, all’associazione nazionale dei magistrati.





