Il Comitato Permanente dell’Assemblea nazionale del popolo della Repubblica Popolare cinese ha approvato, lo scorso 30 giugno, la nuova legge sulla sicurezza nazionale per Hong Kong. Il provvedimento è stato immediatamente adottato dalle istituzioni della regione autonoma ed è entrato in vigore alla vigilia del ventitreesimo anniversario della cessione di Hong Kong dalla Gran Bretagna alla Cina. Le nuove disposizioni sono state pensate per realizzare un apparto di sicurezza ad hoc che prevenga, sopprima e persegua atti di sovversione, separatismo, terrorismo e collusione con Paesi esteri, che diventano così reati punibili con pene che possono arrivare fino all’ergastolo.
Inoltre, il provvedimento legittima la presenza delle autorità cinesi nell’ex colonia britannica e ne riconosce la esclusiva competenza per le questioni più sensibili in materia di sicurezza nazionale. Con l’istituzione dell’Ufficio per la Tutela della sicurezza nazionale, infatti, Pechino si è assicurata la possibilità di gestire, seppur indirettamente l’implementazione della nuova legge e, di conseguenza, di rafforzare il proprio controllo sugli sviluppi nella regione autonoma. La nuova legge, di fatto, mina alla base lo spazio di manovra dei movimenti di protesta e mette in discussione la libertà di espressione delle istanze politiche del fronte pro-democrazia. La vaghezza che ancora permane sulla definizione e sull’identificazione delle possibili azioni che potrebbero ricadere nelle quattro categorie punite dalla legge e il maggior controllo predisposto per l’uso dei mezzi di comunicazione avranno inevitabilmente un impatto sui futuri sviluppi dei movimenti.
Con questa mossa, Pechino ha assestato un duro colpo al principio “un Paese, due sistemi” che fino adesso aveva garantito alla popolazione dell’ex colonia britannica maggiori libertà di espressione e manifestazione rispetto alla regolamentazione applicata nella Cina continentale. La messa in discussione unilaterale di questo sistema potrebbe avere ripercussioni sui rapporti di Pechino con la Comunità Internazionale, in particolare con Unione Europea e Stati Uniti. L’annuncio dell’entrata in vigore della legge, infatti, ha suscitato forti reazioni sia a Bruxelles sia a Washington e ha spinto diversi Paesi, tra cui la Gran Bretagna, a valutare la possibilità di garantire la cittadinanza a cittadini hongkonghesi.