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tregua

Che cosa non vede la Corte penale internazionale

Le contraddizioni della Corte penale internazionale su Israele e Hamas. I Graffi di Damato

Almeno come genocida, quale viene considerato dalla Corte penale internazionale da quando ha spiccato contro di lui un mandato di cattura che lo obbliga a selezionare bene i suoi viaggi per non finire in manette, e non solo per scampare a qualche attentato di chi lo vuole morto, non bastandogli una prigione, il premier israeliano Benjamin Netanyahu è un fallimento.

A Gaza nei bombardamenti eseguiti da Israele dopo il pogrom del 7 ottobre 2023 sono morti più di 40 mila palestinesi, peraltro vittime anche dei terroristi che erano nascosti sotto le loro case, i loro ospedali, le loro scuole, i loro mercati, le loro strade e piazze con tanto di arsenali di guerra, ma ne sono per fortuna sopravvissuti molti di più. E soprattutto i terroristi sono spuntati dalle rovine più baldanzosi e agguerriti di prima, esibendo la loro forza e le loro provocazioni nella consegna degli ostaggi che via via, durante la tregua in corso, scambiano con i ben più numerosi detenuti liberati dalle prigioni israeliane. Dove erano finiti per avere fatto generalmente qualcosa, e non il niente degli ebrei catturati dai terroristi di Hamas nell’irruzione del 7 ottobre 2023 in territorio israeliano mentre cantavano, suonavano o semplicemente cercavano in casa di scampare alla morte o al rapimento.

Gli spettacoli provocatori predisposti da Hamas per la consegna degli ostaggi sono stati di tale sfrontatezza e disumanità, con uomini ridotti a pelle e ossa come quelli esibiti ieri, che la Croce Rossa incaricata di raccoglierli si è decisa, finalmente, a organizzare diversamente le prossime consegne.

Le immagini giunte da Gaza, e che il premier israeliano dagli Stati Uniti ha promesso di vendicare prima o dopo, scommettendo probabilmente anche sull’aiuto del presidente americano Donald Trump di cui era ospite, potrebbero comunque bastare ed avanzare per essere trasmesse e consegnate in un macabro dossier alla Corte penale internazionale dell’Aia. Dove i 15 giudici, e i loro ben 900 dipendenti, potrebbero e dovrebbero guardarsele e riguardarsele per arrossire di vergogna- spero- del mandato di cattura ancora pendente sul premier israeliano. Ma dovrebbero farlo anche i governi dei 79 paesi, fra i quali per fortuna non quello italiano, che hanno appena sottoscritto all’Onu -e dove sennò?- un documento di solidarietà e sostegno della Corte criticata e sanzionata da Trump. Che rischia di finirvi indagato pure lui, con l’aria -.anzi con l’Aja, come ha titolato ieri il manifesto- che tira.

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