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Che cosa lega Landini, Feltri e Ceccarelli

Non è solo Maurizio Landini con la “rivolta” ad alzare troppo i toni delle polemiche, ci sono anche Filippo Ceccarelli e Vittorio Feltri a gareggiare sulle fesserie... Il corsivo di Battista Falconi

“Alzare i toni” è l’espressione che si usa spesso, in questi giorni, per paventare il rischio che dalle parole aggressive si passi alle aggressioni di fatto. Per esempio: Maurizio Landini usa il termine “rivolta”, in una delle piazze dove si svolgono le manifestazioni sindacali avvengono incidenti e si stabilisce un nesso causale, strumentale ed esagerato. Molto peggio va quando il leader Cgil parla di “tentativo esplicito di mettere in discussione questo diritto” e “tentativo serio di una svolta autoritaria che mette in discussione la libertà di esistere e la libertà delle persone”, poiché allora – come contestano con ragione, tra gli altri, Giovanni Orsina e Luigi Sbarra – semina un odio che può germogliare non nella fisiologica quota di scemi che seguono un corteo ma nei cattivi maestri e nei pessimi allievi che potrebbero meditare tentativi di sovversione violenta, scusandola come la reazione a un governo che vuole portarci alla dittatura.

In realtà però, com’è risaputo, alzando i toni si ottiene in genere l’effetto opposto a quello perseguito, cioè il progressivo scivolamento nel rumore di fondo. Sono lì a dimostrarlo le due pessime battute pronunciate da Filippo Ceccarelli e Vittorio Feltri. Il primo – firma del quotidiano Repubblica – si è prodotto a Propaganda Live in un gioco di parole che davvero non gli fa onore: “Atreju, Atreju, a troja”. Rimarcandolo, all’inarcare di ciglia del conduttore Zoro, con un: “Nessun lapsus”. Il secondo spara ripetutamente in senso metaforico, talvolta richiamando il termine anche in senso letterale: a La Zanzara – trasmissione di Radio 24 (Confindustria editore!) i cui toni sono sempre siderali, o abissali a seconda del punto di vista – ha infatti definito i musulmani una “razza inferiore” a cui “sparerei in bocca”.

Almeno nell’immediato, pochi sembrano essersi accorti delle due colossali fesserie, anche se c’è tempo per recuperare (oggi, poi, è domenica…). E d’altronde è sempre più difficile cogliere le distonie in un concerto cacofonico di messaggi come quello nei quali vecchi e nuovi media ci immergono. Dal doppiaggio surreale delle pubblicità di Temu che scontiamo per usare alcune app, agli alti moniti che auspicano palingenesi irrealizzabili (i tipici “basta, mai più”), fino alle conversazioni social dove qualunque tema, fosse pure il banale menù di un ristorante, dà la stura a un’onanistica conversazione in cui quasi nessuno legge i commenti precedenti prima di postare il proprio.

Riccardo Muti, in un coming out senile che il Corriere opportunamente titola “Non sopporto più l’acuto di Vincerò” (anche le cose più belle si logorano), torna su alcune questioni già affrontate in altre interviste e ripropone il mito dell’Universo che “canta” e delle armonie celesti.

Il problema sono le stecche terrestri.

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