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Macaluso salvini renzi

Che cosa insegnano i processi Open e Open Arms

I sostenitori del cosiddetto partito dei magistrati, politicamente trasversale, troveranno proprio nella pronuncia del giudice contro la posizione dell’accusa la dimostrazione della loro convinzione che il sistema giudiziario funzioni. I Graffi di Damato

Non bisogna dunque salire sino a Berlino con Bertold Brecht per trovare il giudice che sappia e voglia salvare il mugnaio di Postdam a rischio d’ingiustizia. Si può anche scendere a Firenze, dove Matteo Renzi ha trovato il giudice che, sia pure in tre anni, ha prosciolto lui e dieci amici nella cosiddetta udienza preliminare da un’ostinata accusa di illecito finanziamento. O scendere ancora più giù, sino a Palermo, dove un altro celebre Matteo della politica italiana -il leghista Salvini- è stato assolto dopo tre anni di processo, e a più di cinque di distanza dai fatti, dall’accusa di avere addirittura sequestrato come ministro dell’Interno quasi 150 migranti trattenendoli per una ventina di giorni su una nave spagnola che li aveva soccorsi in mare, decisa a sbarcarli solo sulle coste italiane.

Sono due vicende, quelle di Renzi e di Salvini, a epilogo provvisoriamente positivo in un sistema giudiziario che generalmente produce più paura che fiducia: E a riformare il quale qualsiasi governo ci abbia provato ha dovuto rinunciarvi, o quasi, perché nessuna maggioranza -dico nessuna- è riuscita a resistere compatta all’arroccamento conservatore e castale dell’associazione nazionale dei magistrati. Per la quale separare le carriere dei giudici e dei pubblici ministeri sarebbe eversivo, al pari di una reale, non fittizia responsabilità civile delle toghe, paragonabile a quella di altri che rispondono personalmente dei loro errori.

Alla lunghissima udienza preliminare che ha scagionato Renzi ed amici non si sarebbe dovuti neppure arrivare se le indagini fossero state condotte ragionevolmente. Così come non si sarebbe dovuto arrivare al processo contro Salvini per la “Open arms” se l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il suo partito non avessero adottato il sistema dei due pesi e misure: proteggendo lo stesso Salvini dalle accuse giudiziarie per i ritardati sbarchi dal pattugliatore italiano “Diciotti” e non da quelle successive riguardanti la nave spagnola. E ciò perché fra la prima e la seconda vicenda era intervenuto un cambiamento dei rapporti personali e politici fra Conte e Savini nell’ambito dello stesso governo.

Paradossalmente i due Mattei rischiano di pagare cara la soddisfazione che hanno avuto nel primo giro della loro giostra giudiziaria perché i sostenitori del cosiddetto partito dei magistrati, politicamente trasversale, troveranno proprio nella pronuncia del giudice contro la posizione dell’accusa la dimostrazione della loro convinzione che il sistema giudiziario funzioni. E non ci sia quindi motivo di riformarlo. Una reazione, questa, che potrebbe anche essere non dico condivisa, ma almeno compresa se nei casi di Renzi e di Salvini l’accusa, considerando il tempo abbondante avuto per tentare il processo e la condanna, rinunciasse all’appello. Ma è un’ipotesi assai improbabile, come l’auspicio dell’”arma spuntata dei tribunali” espresso dal manifesto accanto al “buco nell’acqua” di Palermo.

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