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Che cosa insegna la liberazione di Cecilia Sala

Cecilia Sala ha rappresentato l’incrocio perfetto fra le opposte esigenze politiche, prima ancora che giuridiche. Il taccuino di Guiglia.

Tutto è bene quel che comincia molto male. Quando le istituzioni s’impegnano insieme, non esiste impresa impossibile per l’Italia. “È stato un grande lavoro di squadra”, hanno detto Giorgia Meloni e Antonio Tajani, artefici principali ma, appunto, non solitari dell’insperata e rapida liberazione di Cecilia Sala, giornalista detenuta per venti giorni in Iran con accuse evanescenti.

Tuttavia, per quel regime degli opprimenti e oppressori ayatollah anche il nulla può essere colpa grave meritevole di punizione. Specialmente se l’incarcerazione dell’innocente serve per tenere sulla corda il governo italiano, alle prese col pasticcio dell’ingegnere iraniano ed esperto di droni Mohammad Abedini-Najafabadi, detenuto a Milano su mandato emesso dagli Stati Uniti. Dov’è considerato un complice di terrorismo. Accusa che l’ingegnere respinge.

E così il nostro Paese si trova tra due fuochi: la richiesta americana di estradizione del sospettato e quella iraniana del suo ritorno a casa.

Cecilia Sala ha rappresentato l’incrocio perfetto fra le opposte esigenze politiche, prima ancora che giuridiche. Da ciò il volo a sorpresa della presidente del Consiglio in Florida, sabato scorso, per cercare di risolvere l’ingarbugliata contesa direttamente alla fonte, con Donald Trump, che fra una decina di giorni s’insedierà come 47esimo presidente degli Stati Uniti.

Ma ha avuto successo anche la contestuale, lunga e discreta attività della diplomazia e dei servizi segreti italiani dietro le quinte. Circostanza, peraltro, molto significativa: vuole dire che il nostro Paese vanta buoni collegamenti per negoziare e perciò gode di credibilità e affidabilità dei suoi rappresentanti anche in contesti nei quali ad altre nazioni europee risulterebbe impraticabile perfino la stessa possibilità di interloquire.

Sì, è stata una corale e bella prova per una buona causa. Lo testimoniano i complimenti del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, a Giorgia Meloni, ma anche il plauso e l’applauso di tutte le opposizioni. Fatto che, a sua volta, è una bella notizia nella bella notizia di Cecilia tornata a casa dai suoi cari. Significa che, quando è in gioco un interesse nazionale, e in questa vicenda eccome se lo era, almeno per 24 ore sinistra e destra cessano di essere tali e si danno la mano con spirito civile e patriottico. Dovrebbe accadere più spesso, ma accontentiamoci pure di questa prima volta – dopo due anni e passa di legislatura e di governo Meloni – che vede gioire i parlamentari senza distinzione di partito e tirare un sospirone di sollievo ai tanti italiani che seguivano il caso con apprensione.

E nessuna dietrologia del tipo “ma Teheran che ha avuto in cambio?”, può guastare questo bel giorno di festa italiana. L’ingegnere reclamato dagli ayatollah è nelle mani della nostra magistratura, che è indipendente anche da qualsivoglia suggerimento di benevolenza, e che saprà applicare leggi e trattati secondo i fatti accertati. Non siamo al bazar: nelle democrazie liberali d’Europa le istituzioni sono una cosa seria.

Come l’Italia ha appena dimostrato.

Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova
www.federicoguiglia.com

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