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Quota 100

Che cosa deve insegnare il papocchio tecnico-politico sul vaccino Astrazeneca

Il cortocircuito verificatosi quando l’Aifa ha sospeso l’impiego del vaccino su tutto il territorio nazionale è la prova disarmante della fragilità dei governi, delle strutture sanitarie e delle opinioni pubbliche di fronte alla pandemia. Il commento di Giuliano Cazzola

 

Nei giorni scorsi quando è scoppiato il caso AstraZeneca, Enrico Bucci, il virologo che da un anno commenta ogni giorno su Il Foglio l’andamento della pandemia, ha citato due esempi su cui tutti dovremmo riflettere, a partire dagli operatori dell’informazione. Bucci ha trovato sui quotidiani locali due notizie sbrigate in poche righe, riguardanti i casi di due anziani che – in luoghi diversi – erano stati colpiti da un infarto, purtroppo letale, mentre attendevano il loro turno per la somministrazione del vaccino.

Il virologo faceva notare che se l’improvviso decesso fosse avvenuto poco dopo la vaccinazione, l’annuncio avrebbe trovato posto in prima pagina sui grandi quotidiani nazionali e nei tg; avrebbe allarmato le Cancellerie europee inducendole ad assumere provvedimenti di sospensione del prodotto sospetto e gettato le opinioni pubbliche nel panico tanto da disdire in massa gli appuntamenti programmati con le strutture sanitarie. Salvo ritornare pochi giorni dopo nell’ambito della ragionevolezza, senza però correggere la convinzione – destinata ad accompagnare l’intera campagna – che la nuova versione sia dettata da una sorta di ragion di Stato che conduce le autorità a mentire.

Pur esprimendo la pietas dovuta dobbiamo ringraziare le due persone defunte di averci lasciato al momento opportuno. Anzi ci sarebbe da chiedersi perché la notizia abbia attirato l’interesse di qualche quotidiano, diversamente da quanto sarebbe avvenuto se i decessi fossero capitati durante la fila all’ingresso di un supermercato. Ma si sa; basta un collegamento alla lontana con il Covid-19 per avere diritto alla notorietà.

Su Facebook, negli stessi giorni, è stato persino postato il trafiletto di un giornale che raccontava di una persona travolta da un Tir all’uscita dalla vaccinazione. Al di là di questi casi limite in cui l’ora della morte di una persona può provocare dei danni gravissimi (non sapremo mai quanti saranno i casi di decesso tra quei duecentomila soggetti che hanno disdetto la prenotazione per timore dei trombi), il cortocircuito verificatosi lo scorso 15 marzo (quando l’Aifa ha sospeso l’impiego del vaccino su tutto il territorio nazionale) è la prova disarmante della fragilità dei governi, delle strutture sanitarie e delle opinioni pubbliche di fronte alla pandemia.

Torna alla mente, a questo proposito, una frase di Seneca: “Sono più le cose che ci spaventano di quelle che ci minacciano effettivamente, e spesso soffriamo più per le nostre paure che per la realtà’’.

Non usciremo mai da questa tragedia senza un bagno nella realtà, senza accettare una condizione di rischio, da gestire nel migliore dei modi possibili (il governo opportunamente ha allocato nel decreto Sostegni più di 5 miliardi per sostenere lo sforzo della campagna di vaccinazione), ma sapendo che ad un certo punto deve prevalere una logica di costi e benefici, sia nel bilanci tra decessi e guarigioni, sia su quello tra la tutela della salute e le esigenze dell’economia.

C’è una svolta di carattere culturale da compiere dopo un anno di mortificazioni e rinunce che ci ha portato a chiudere per legge attività produttive che chiedevano solo di continuare a svolgere in sicurezza il loro lavoro; ciò, mentre gli studenti venivano privati di ben due anni di formazione.

L’Istat ha certificato i numeri dell’annus horribilis 2020: “Nell’anno 2020 il totale dei decessi per il complesso delle cause è stato il più alto mai registrato nel nostro Paese dal secondo dopoguerra: 746.146 decessi, 100.526 decessi in più rispetto alla media 2015-2019 (15,6% di eccesso). In tale valutazione occorre tener conto che nei mesi di gennaio e febbraio 2020 i decessi per il complesso delle cause sono stati inferiori di circa 7.600 unità a quelli della media dello stesso bimestre del 2015-2019 e che i primi decessi di persone positive al Covid-19 risalgono all’ultima settimana di febbraio. Pertanto – ha proseguito l’Istituto centrale di statistica – volendo stimare l’impatto dell’epidemia Covid-19 sulla mortalità totale, è più appropriato considerare l’eccesso di mortalità verificatosi tra marzo e dicembre 2020. In questo periodo si sono osservati 108.178 decessi in più rispetto alla media dello stesso periodo degli anni 2015-2019 (21% di eccesso). Tra il mese di febbraio e il 31 dicembre 2020 sono stati registrati 75.891 decessi nel Sistema di Sorveglianza Nazionale integrata Covid-19 dell’ISS”.

Secondo uno studio di Itinerari previdenziali, complessivamente, da fine febbraio a novembre dello scorso anno, i decessi Covid-19 rappresentano il 9,5% del totale dei decessi del periodo (13% durante la prima ondata epidemica e 16% nella seconda ondata, con un considerevole aumento nel mese novembre).

Se si considerano i contributi per fasce di età dei decessi Covid-19 alla mortalità generale si può notare come, a livello nazionale, la mortalità Covid-19 abbia contribuito al 4% della mortalità generale nella classe di età 0-49 anni, all’8% nella classe di età 50-64 anni, all’11% nella classe di età 65-79 anni e all’8% negli individui di ottanta anni o più.

Le principali cause di mortalità restano le patologie cardiocircolatorie ed oncologiche, quelle stesse che devono cedere il passo nei nosocomi agli ammalati di Coronavirus.

Noblesse oblige.

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